Delitto di via Poma, ritrovato il dossier scomparso: “Contiene indizi sul killer”

A 35 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni, riemerge un dossier scomparso che riapre le indagini: la scena del crimine potrebbe essere stata manipolata per coprire interessi dei servizi segreti

Delitto di via Poma, ritrovato il dossier scomparso: “Contiene indizi sul killer”
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A trentacinque anni esatti dal brutale omicidio di Simonetta Cesaroni, la verità potrebbe non essere più così lontana. In occasione dell’anniversario del delitto, avvenuto il 7 agosto 1990 in un appartamento di via Poma, a Roma, è stato ritrovato un dossier scomparso da anni, contenente indizi considerati cruciali per le indagini. Secondo la giudice per le indagini preliminari Giulia Arcieri, i nuovi elementi aprono uno squarcio inquietante: la scena del crimine potrebbe essere stata manipolata per proteggere interessi legati ai servizi segreti.

La riapertura dell’inchiesta

Lo scorso dicembre, la gip Arcieri ha respinto l’ennesima richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Roma, riaprendo l’indagine con parole pesanti: "L’inquinamento delle prove potrebbe essere avvenuto per proteggere soggetti o interessi dei servizi segreti". Alla base della decisione c’è il ritrovamento di un dattiloscritto del 1996 firmato dal cronista Gian Paolo Pelizzaro, in seguito scomparso e ora pubblicato nel libro L’intrigo di via Poma, scritto con il giornalista Giacomo Galanti.

Il dattiloscritto scomparso e la pista ignorata

Pelizzaro, già sei anni dopo il delitto, aveva tracciato un fitto intreccio di nomi, società e relazioni che collegavano via Poma ad altri luoghi noti alle cronache italiane, da via Gradoli all’Olgiata, con un denominatore comune: la presenza di figure vicine agli apparati di sicurezza. Il dattiloscritto, pronto per la pubblicazione, fu consegnato alla magistratura per il contenuto altamente sensibile, tra cui informazioni sui turni di lavoro pomeridiani dei dipendenti dell’Aiag – l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, presso cui Simonetta lavorava. Venne acquisito agli atti, ma mai più reso pubblico. Solo di recente è stato ritrovato tra gli archivi privati del padre della vittima, Claudio Cesaroni, e presentato come documento a supporto dell’opposizione all’archiviazione.

La verità nascosta nei registri scomparsi

Tra gli elementi più delicati: l’elenco delle presenze dei dipendenti dell’Aiag nell’estate del 1990. Richiesto solo nel 1997, risultava incompleto: mancavano le presenze tra il 10 luglio e il 13 novembre, proprio il periodo in cui Simonetta lavorava lì. Secondo Pelizzaro, da contratto i dipendenti avevano l’obbligo di essere in ufficio il martedì pomeriggio, eppure tutti sostennero di non esserci il giorno del delitto. Una fonte anonima avrebbe riferito che qualcuno era effettivamente in ufficio quel pomeriggio, ma che tale presenza fu cancellata dai registri. Quei documenti, ritrovati nell'autunno scorso, avrebbero spinto la gip Arcieri a ordinare un riesame approfondito delle piste che portano all’Aiag.

Depistaggi, manipolazioni e un omicidio “ripulito”

Il dattiloscritto evidenzia inoltre numerosi sospetti di depistaggio: una scena del crimine troppo ordinata, nonostante le 29 coltellate inflitte alla vittima; la porta dell’ufficio chiusa a chiave con le chiavi scomparse; e l’assenza di tracce di sangue in un contesto che avrebbe dovuto esserne intriso. "Solo dei professionisti potevano modificare e inquinare a tal punto la scena del delitto", scrive Pelizzaro, sostenendo che l’omicidio sia stato seguito da una vera e propria “bonifica” investigativa, con l’obiettivo di proteggere identità e interessi legati a strutture di sicurezza dello Stato.

“Un movente inconfessabile”

Il movente? Potenzialmente legato alla natura stessa dell’Aiag, le cui strutture, secondo il libro, potevano rappresentare una fonte di dati sensibili, come i registri di ingresso di studenti italiani e stranieri in Italia. "La morte di Simonetta potrebbe aver messo in allarme una struttura occulta, portando all’eliminazione di prove e al depistaggio dell’indagine", si legge nel libro.

Una delle testimonianze chiave, quella di una dipendente che dichiarò di essere andata via prima dell’arrivo di Simonetta, non fu mai verificata. E le pressioni, raccontano Galanti e Pelizzaro, sarebbero proseguite anche dopo, con testimoni discutibili (come Roland Voller, vicino agli ambienti dei servizi) e pressioni per orientare le indagini lontano dall’Aiag.

L'ipotesi inquietante

"Se qualcuno ha depistato, allora esiste un colpevole intoccabile, un movente inconfessabile, complici da proteggere e affari inviolabili", scrive Pelizzaro nel

dattiloscritto. L’indagine sul delitto di via Poma sembra così tornare al punto di partenza, ma con nuove armi: un archivio ritrovato, una pista mai seguita, e una famiglia che, 35 anni dopo, continua a chiedere giustizia.

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