Non si sa dove si trovi, ma ha spiegato in una lettera le ragioni della sua fuga. Perché quella di Elia Del Grande non è un’evasione, ma una fuga che, se venisse catturato, lo obbligherebbe a riprendere da capo un lungo iter di giustizia. Condannato a 30 anni di reclusione dopo aver compiuto, con un fucile, una strage famigliare, era scappato dalla casa lavoro in cui era stato ristretto il 23 settembre 2025, dopo essere stato posto in libertà vigilata: il provvedimento era stato motivato dal magistrato di sorveglianza con la pericolosità sociale.
Ed è proprio la magistratura che Del Grande incolpa nella sua missiva, inviata a VareseNews: “Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro dando tutto me stesso in quel lavoro che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla magistratura di sorveglianza, avevo ritrovato una compagna un equilibrio i pranzi le cene il pagare le bollette le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di Sorveglianza, che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro riproponendomi soltanto la realtà repressiva carceraria, anzi quella delle case lavoro è ben peggio”.
In altre parole, Del Grande lamenta l’inadeguatezza della misura della casa lavoro, che viene paragonata a un ex ospedale psichiatrico giudiziario: “Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora incredibilmente sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro, per l’appunto cosa che non esiste affatto, le case lavoro di oggi sono in realtà i vecchi Opg dismessi nel 2015 grazie una legge stimolata da qualcuno che ha voluto aprire gli occhi su quello scempio che era ancora in essere, cosa che non è accaduto per le case al lavoro che in realtà sono recipiente di coloro che hanno problemi psichiatrici e che non hanno posto nelle Rems”, aggiunge.
Del Grande, scappato dalla casa lavoro il 30 ottobre, spiega di avere avuto a che fare quotidianamente con persone affette da patologie psichiatriche trattate con pesanti psicofarmaci, mentre non nota differenza tra l’occupazione in carcere e quello nella casa lavoro: “Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero, nessuna liberazione anticipata, nessun rapporto disciplinare, ma solo proroghe da sei mesi in su”, scrive ancora.
Il 50enne ricorda di aver già scontato 26 anni e 4 mesi dei 30 anni previsti dalla sua condanna e di non essersi visto considerato l’impegno lavorativo e il percorso di reinserimento. Del Grande non rivela la località misteriosa in cui si trova, dopo essere scappato dal muro di cinta alto 6 metri della casa lavoro, utilizzando una fune realizzata con fili elettrici.
Si trovava in carcere perché nella notte tra il 6 e il 7 gennaio 1998, nella loro casa di Cadrezzate, aveva ucciso, in complicità con un’altra persona, il fratello Enrico, il padre Enea e la madre Alida, per poi essere arrestato dopo aver tentato lo sconfinamento in Svizzera. Dopo la concessione della libertà vigilata era tornato a Cadrezzate, quindi la decisione del magistrato di sorveglianza del trasferimento in una casa lavoro del Modenese.