
Un salto nel vuoto per sfuggire alle conseguenze delle sue azioni. E il rischio enorme di una nuova tragedia. Avrebbe sfiorato un ragazzino di 13 anni, con un "peluche in mano", Emanuele De Maria, il 35enne detenuto a Bollate per omicidio e poi ricercato da venerdì pomeriggio, quando si è lanciato dalle terrazze del Duomo, morendo poi sul colpo. "Ha sfiorato un ragazzino con un peluche in mano. Avrà avuto intorno ai tredici, quattordici anni. Era sotto choc. Per venti minuti è rimasto seduto senza parlare. Gli è precipitato di fianco. Un miracolato", dice Emanuele Sanità, un testimone, al Corriere della Sera. Il tredicenne sarebbe poi rimasto in silenzio per diversi minuti, incapace di parlare, probabilmente per lo choc. "Tutte le persone intorno sono scappate. Pensavano fosse un agguato, una sparatoria. Dal mio ristorante si sono alzati tutti. Era deserto", ancora le parole di Sanità. La morte di De Maria è avvenuta domenica intorno all'ora di pranzo, nel cuore di Milano. A quell'ora la piazza, come succede nei giorni festivi, era gremita di persone: turisti, passanti, famiglie tutti alle prese con lo shopping tipico dei giorni festivi. "Ho visto un corpo scendere - ha continuato il testimone - era vestito di nero scuro, è caduto velocissimo. Ma non pensavo fosse una persona che si stava gettando da quell’altezza".
I permessi per lavorare
Il dossier che riguarda il caso di Emanuele De Maria, detenuto per aver sgozzato nel 2016 una 23enne nel Casertano, e con il permesso di uscire dal carcere per lavorare come receptionist, sarebbe sul tavolo del ministero della Giustizia. Secondo l’avvocato Daniele Tropea, legale di De Maria contattato dall’Ansa, il suo assistito invece “meritava il permesso di lavorare fuori visto l'ottimo percorso che aveva fatto all'interno del carcere”. “La sua posizione era stata valutata dall'area educativa del carcere di Bollate e dal magistrato di Sorveglianza di Milano - ha aggiunto Tropea - non mi sarei mai aspettato nulla di quanto accaduto e nemmeno che De Maria potesse trasgredire le regole”.
L'ipotesi della premeditazione
Il pm di Milano Francesco De Tommasi, che coordina l'inchiesta, sta vagliando l'ipotesi che l'omicidio della collega fosse premeditato.
Avrebbe pianificato di uccidere prima Chamila Wijesuriya e poi il collega Hani Nasr, che si è difeso ed è sopravvissuto. Il pubblico ministero ha disposto le autopsie anche per accertare se l'uomo, autore di un omicidio e di un tentato omicidio premeditati, avesse assunto sostanze stupefacenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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