Il video, il sangue, la fuga: così è stato incastrato Emanuele Ragnedda

Emanuele Ragnedda, 41 anni, imprenditore vinicolo di Arzachena noto per aver prodotto uno dei vermentini più costosi d’Italia, è accusato dell’omicidio di Cinzia Pinna, 33 anni. Dopo giorni di indagini, intercettazioni e contraddizioni, ha confessato: "L’ho uccisa io". Dietro l’immagine del produttore di lusso, una vicenda oscura fatta di droga, sangue e un tentativo di fuga fallito

Cinzia Pinna ed Emanuele Ragnedda
Cinzia Pinna ed Emanuele Ragnedda

Una frase secca, registrata in un video: "Ho ucciso Cinzia Pinna, lì c’è il corpo". Poche parole per chiudere un caso che negli ultimi giorni aveva assunto contorni sempre più oscuri, tra intercettazioni, sangue sulle pareti e un tentativo di fuga in mare. Le indagini hanno portato alla verità, e ora Emanuele Ragnedda si trova in carcere, accusato di omicidio volontario.

La scomparsa e l’appello disperato

Cinzia era scomparsa da due settimane. L’ultima volta era stata vista in stato confusionale, barcollante tra i locali della costa e il porto di Palau. Sui social, la sorella aveva lanciato un appello accorato: "Aiutateci a trovarla". Ma le speranze si sono infrante contro una realtà tragica: la giovane era già morta quella notte.

A tradire l’assassino è stata proprio la tecnologia. Una telecamera di sorveglianza ha ripreso l’auto su cui Cinzia è salita quella sera. Era la macchina di Ragnedda. Da quel momento, il suo destino si è legato indissolubilmente al giallo.

Il party nella casa del vino

Il segnale del cellulare di Cinzia si è spento alle 3:20 del 12 settembre, nei pressi dell’azienda agricola di Conca Entosa, di proprietà di Ragnedda, tra Palau e Santa Teresa Gallura. In quella casa, usata dall’imprenditore anche per incontri privati, si è consumato un ultimo, tragico party.

Secondo le prime ricostruzioni, la notte è trascorsa tra alcol e sostanze, in uno stato psicofisico alterato. Emanuele Ragnedda, durante l’interrogatorio, ha parlato di un diverbio degenerato, ma la sua versione iniziale era frammentaria, piena di “non ricordo”, e costellata di contraddizioni. Nel frattempo, i Ris hanno rilevato sangue ovunque all’interno della casa: per terra, sui muri, su un divano. Le tracce raccontano una verità brutale: Cinzia sarebbe stata colpita con violenza e finita con più colpi di pistola.

La tentata fuga e l’intervento della Guardia Costiera

La svolta è arrivata con le immagini delle telecamere, le intercettazioni telefoniche e ambientali, il sequestro dell’auto e dell’azienda, e il fascicolo per omicidio aperto dalla Procura di Tempio Pausania, guidata da Gregorio Capasso.

Ma l’accelerazione decisiva nelle indagini è avvenuta quando si è temuto il pericolo di fuga. Martedì mattina, un gommone è partito dal porticciolo di Cannigione con Ragnedda a bordo. È stato intercettato dalla Guardia Costiera dopo poche miglia, vicino a Baja Sardinia, dove i genitori dell’imprenditore possiedono una villa. Nessuna fuga vera e propria, ma abbastanza per allertare le autorità e stringere il cerchio attorno a lui. Proprio in quelle ore, nell’azienda è stata ritrovata l’arma del delitto, una pistola con due caricatori.

La confessione e il coinvolgimento di un amico

Dopo quattro ore di interrogatorio, messo alle strette dai carabinieri e dal procuratore, Emanuele Ragnedda ha confessato: "L’ho uccisa io". Ha tentato di giustificarsi parlando di autodifesa, "mi sono dovuto difendere", ma Cinzia era disarmata, e la presenza della pistola smonta ogni pretesa di legittima difesa.

Nella fase iniziale dell’indagine, Ragnedda aveva tentato di coinvolgere un conoscente, Luca Franciosi, 26 anni, giardiniere stagionale a Porto Cervo, accusandolo di averlo aiutato a trasportare il cadavere. "Lo conoscevo, l’ho chiamato. Abbiamo caricato il corpo sulla sua auto, volevamo gettarlo in mare", aveva dichiarato. Ma Franciosi, assistito dagli avvocati Antonello Desini, Maurizio e Nicoletta Mani, si è subito reso disponibile, mettendo a disposizione l’auto. Nessuna traccia di sangue. Nessun coinvolgimento reale.

Infine, anche questo punto è stato chiarito: Ragnedda ha scagionato Franciosi, che resta formalmente indagato per occultamento di cadavere, ma la sua posizione potrebbe presto essere archiviata.

Il corpo nascosto tra le rocce

La confessione ha portato i carabinieri fino al luogo dove il corpo era stato nascosto: una radura isolata, dietro l’azienda agricola, tra sterpaglie e rocce. Un tentativo goffo di far sparire le tracce, mentre la casa era ancora imbrattata di sangue. Le operazioni di recupero del cadavere si sono svolte sotto la supervisione degli inquirenti, che ora attendono i risultati dell’autopsia per chiarire dinamica e tempistiche esatte del delitto.

Chi era Cinzia Pinna

Cinzia Pinna, 33 anni, originaria di Castelsardo, si trovava a Palau per lavoro stagionale in un hotel. Era una ragazza descritta da molti come “solare, generosa, sempre pronta ad aiutare”. Ma il suo passato, come spesso accade nei casi di cronaca nera, non era privo di ombre.

Cinzia aveva avuto problemi giudiziari: un braccialetto elettronico le era stato imposto fino a pochi mesi fa, e una diffida a frequentare persone a rischio pendeva su di lei. Alcuni amici hanno sussurrato parole pesanti: "Era una ragazza d’oro… quando era in sé". Frasi che raccontano una fragilità, forse una dipendenza, forse scelte sbagliate. Ma nulla giustifica ciò che è accaduto. Nessun passato difficile può autorizzare la violenza. E oggi, mentre la giustizia fa il suo corso, una famiglia piange una figlia che non tornerà più.

Un omicidio che scuote

Il nome di Emanuele Ragnedda non era nuovo nei circuiti dell’imprenditoria italiana. La sua famiglia è nota nel Nord Sardegna per la produzione di vini di pregio, e il suo vermentino del 2021, venduto a fino a 1.800 euro a bottiglia, aveva fatto scalpore nel settore. Ora, quel nome è associato a uno dei casi di cronaca nera più sconvolgenti degli ultimi anni in Sardegna. Un omicidio che mescola lusso, droga, sangue e bugie. Una tragedia che fa cadere ogni maschera.

Con la confessione di Emanuele Ragnedda e il ritrovamento del corpo di Cinzia Pinna, il caso è tutt’altro che chiuso.

Le indagini proseguono per chiarire ogni dettaglio, verificare eventuali responsabilità esterne e soprattutto restituire alla vittima la dignità negata nella morte. In carcere, Ragnedda è ora in attesa di processo.

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