"C'è un testimone austriaco che può scagionarmi". Lo ha detto Giacomo Bozzoli agli investigatori dopo essere stato arrestato giovedì sera nella sua villa di Soiano (Brescia), dove si era nascosto durante l'ultimo giorno di latitanza. Il 39enne ha ribadito ancora una volta di essere innocente, assicurando che chiederà al più presto la revisione del processo. Ieri ha incontrato i suoi legali storici, Luigi Frattini e il figlio Giovanni, nel carcere di Bollate. I dettagli del colloquio, ovviamente, non sono noti. Ma è facile ipotizzare che gli avvocati si siano confrontati con l'assistito, condannato in via definitiva all'ergastolo per l'omicidio dello zio, circa l'ipotesi di un'eventuale e nuova strategia difensiva.
I soldi all'operaio
Il "testimone austriaco" di cui parla Bozzoli - pare l'abbia menzionato anche nel memoriale che avrebbe spedito ai magistrati della Procura di Brescia nei giorni scorsi - era già stato chiamato in causa dai suoi avvocati nel ricorso in Cassazione per l'annullamento della sentenza di secondo grado. Tutto parte dai 4.400 euro che furono trovati in casa di Giuseppe Ghirardini, l'operaio morto suicida cinque giorni dopo la scomparsa di Mario Bozzoli. Secondo i giudici, l'uomo avrebbe concorso "quantomeno" alla distruzione del cadavere. E quei soldi sarebbero stati un acconto del compenso pattuito con la persona che gli aveva dato mandato, ovvero Giacomo. Come ben precisa il Corriere della Sera, le banconote furono emesse dalla Banca centrale austriaca. Non furono trovate tracce di impronte digitali.
I contatti con la rappresentante austriaca
Analizzando i tabulati telefonici di uno dei cellulari in uso a Bozzoli, furono riscontrati quattro contatti con tre utenze austriache (due fisse e un cellulare), tra il 27 maggio e l'8 giugno 2015, associate "a un'azienda che lavorava nel settore dei metalli, la Montanwerk Brixlegg", ricostruiscono i giudici della Corte d'assise d'appello di Brescia. Negli ultimi due, puntualizza ancora il Corriere, l'utenza austriaca fu localizzata in provincia di Brescia. Da qui l'ipotesi che le banconote provenissero dall'imputato in ragione degli eventuali rapporti commerciali che avrebbe intrattenuto con la ditta straniera. "Mai avuto rapporti con l’Austria. Mi sono permesso una volta di contattare una rappresentante che lavora per la Montanwerke" disse Giacomo al pm nel 2019. Poi confermò che c'erano stati quattro contatti.
L'ipotesi della revisione
Sarebbe dunque la "rappresentante austriaca" il super testimone a cui avrebbe fatto riferimento Bozzoli nel memoriale e che, a suo dire, potrebbe scagionarlo. Tuttavia, a fronte di un quadro indiziario considerevole a carico del 39enne, i giudici hanno ritenuto di non dover procedere con l'escussione della persona intestataria dell'utenza austriaca.
Per la difesa, invece, l'esame della teste sarebbe stato utile ad "accertare quale fosse il contenuto di quelle conversazioni - si legge nel ricorso in Cassazione presentato dagli avvocati Frattini contro la sentenza d'appello - e se l’azienda avesse stipulato con la Bozzoli o con lo stesso imputato accordi che comportassero consegna di denaro con banconote emesse dalla Banca centrale austriaca".
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