Il killer che tornava libero: la fuga di Monica Marceddu e l’incubo del sadico di Milano

Il killer che tornava libero: la fuga di Monica Marceddu e l’incubo del sadico di Milano

«Io sono partita il 6 marzo 1997, per fortuna, perché la prossima vittima sarei stata io. Antonio Mantovani mi aveva avvicinata e aveva tentato un approccio. Poi uccise mia zia». A parlare è Monica Marceddu, nipote di Cesarina De Donato, uccisa dal sadico di Milano il 3 giugno 1997. La donna, a 28 anni da quell’efferato delitto, è intervenuta durante il programma “Incidente Probatorio”, condotto da Gabriele Raho su Canale 122 Fatti di Nera, e ha spiegato come andarono le cose e il pericolo scampato durante il periodo di semilibertà del serial killer, poi morto suicida in carcere.

«Sembrava il classico bravo ragazzo; per quanto si mostrasse buono, sembrava un prete – ha raccontato Monica Marceddu –. Più volte gli chiedevamo di uscire la sera a mangiare una pizza con noi, ma lui rifiutava sempre perché diceva di doversi occupare della madre. In realtà, era in semilibertà e la sera doveva tornare a dormire nel carcere di Milano Opera. Aveva ottenuto il permesso di lavoro, ma non lo abbiamo mai visto lavorare: era sempre a cercare donne».

Noto come il sadico di Milano, Antonio Mantovani è stato un serial killer italiano attivo tra gli anni Ottanta e Novanta, ritenuto responsabile di almeno tre omicidi di donne e sempre sospettato anche di un quarto delitto. La sua storia è stata segnata da un’infanzia difficile, dopo l’abbandono da parte della madre e l’educazione in collegio. Già a 14 anni tentò di violentare una bambina di 3 anni: fu arrestato per un tentativo di violenza e fu giudicato semi-infermo di mente, dunque non imputabile. Successivamente si dedicò a rapine e all’uso di droghe, prima di arrivare a compiere il primo omicidio. Il 12 febbraio 1983 uccise Carla Zacchi e, dopo 13 anni di reclusione, nel 1996 ottenne la semilibertà. La sera del 7 marzo 1997, Simona Carnevale, parrucchiera di 26 anni, scomparve nel nulla e il suo cadavere non fu mai ritrovato. Il 2 giugno dello stesso anno, in via Santa Teresa, vennero invece rinvenuti i resti carbonizzati di Cesarina De Donato, 60 anni, la donna che aveva dato ospitalità al killer affittandogli una casa. Già il 31 ottobre 1996, però, Mantovani fu sospettato dell’omicidio di una ex detenuta in semilibertà: Dora Vendola, strangolata in un’auto. Ma dal suo racconto di un approccio non ricambiato riuscì a farsi scagionare dalle accuse e fu ricavata un’ulteriore conferma del regime di semilibertà, che invece gli permise solo di compiere altri efferati delitti contro le donne. Mantovani fu condannato all’ergastolo solo nel 2001 per gli ultimi due omicidi commessi, ma il 28 marzo 2003 si suicidò impiccandosi nel carcere di Saluzzo.

L’aspetto più inquietante di questa vicenda è la facilità con cui il serial killer ottenne i permessi per la semilibertà e gli furono concesse proroghe per lavorare. «Invece non andava affatto a lavorare – ha ribadito Monica Marceddu, nipote di Cesarina De Donato –. Quando era fuori dal carcere, andava a vedere quali donne poteva ammazzare. Io sono stata fortunata perché sono partita e mi sono salvata. Un giorno – racconta – mentre stavo andando a casa, Mantovani mi ha fermata e mi ha detto “quanto sei bella” e io sono rimasta stupita da questo, perché sapevo che frequentava un’altra donna. Lui si mostrava molto garbato, interessato ad approfondire la conoscenza. Così fece anche con mia zia, ma la uccise soffocandola con un sacchetto e riempiendola di bambole e profumi, le sue passioni, sistemandola in un letto per farlo sembrare un suicidio. Invece solo dopo ho saputo che a mia zia aveva fatto fare una morte atroce. Io mi sono salvata perché ero andata via qualche mese prima, invece non ha fatto nulla all’altra donna che frequentava». Tra i tanti ricordi confusi, la nipote di Cesarina De Donato ha ricordato anche la vicenda di Simona Carnevale: «Sulla parrucchiera, ricordo che io lavoravo in una cascina come baby-sitter e lui una sera si presentò dal proprietario chiedendo di poter seppellire un cadavere. Purtroppo, a processo non ha mai rivelato dove avesse nascosto il corpo di quella povera ragazza».

Per Marino D’Amore, sociologo e docente Unicusano, nel caso di Mantovani «c’è un’evoluzione del modus operandi che, da disorganizzato, dopo il carcere diventa più organizzato. Ma i delitti sono tutti innescati da una pulsione sessuale. In questi casi, il carcere non è deterrente, ma viene vissuto come un periodo di “raffreddamento” e il soggetto, appena può, sfoga in tutta la sua violenza ciò che ha covato per anni. Inoltre, ha dimostrato di avere un’indubbia capacità di dissimulare le sue pulsioni, anche se le capacità professionali non si sono dimostrate all’altezza per riconoscere le criticità. Come Angelo Izzo, il comportamento positivo serviva a soddisfare il bisogno di uccidere non appena libero».

Secondo Laura Todaro, criminologa clinica e psicopatologa forense, «gli psichiatri forensi hanno sbagliato. Non era il caso di concedere a Mantovani la semilibertà, non era pronto. La decisione non si prende solo dopo un colloquio clinico, che è soggettivo, ma ci sono anche test che aiutano a inquadrare i casi in cui ci sono disturbi chiari e conclamati. Era chiaramente un soggetto aggressivo, che non aveva il controllo delle pulsioni e con anticipazioni evidenti. Aveva avuto un’infanzia difficile, con comportamenti antisociali, disturbi di apprendimento e tendenze di natura sessuale sadiche e bizzarre, che denotavano già da ragazzo un quadro psicopatologico importante».

Sul caso di Monica Marceddu, nipote di Cesarina De Donato, per Laura Todaro «potrebbe essere una superstite», perché i serial killer «non scelgono sempre le stesse vittime».

La puntata dedicata al caso Mantovani e tanti approfondimenti su cronaca nera e cold case sono disponibili sulla piattaforma Cusanomediaplay.it.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica