"Ho una figlia morta". L'ira dei genitori di Ragnedda per la morte di Cinzia Pinna

Nella giornata di ieri hanno parlato entrambi i genitori di Emanuele Ragnedda, indagato per l’omicidio di Cinzia Pinna. La madre è lapidaria: “Non lo perdono”

"Ho una figlia morta". L'ira dei genitori di Ragnedda per la morte di Cinzia Pinna
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Mentre proseguono a tuttotondo le indagini per l’omicidio di Cinzia Pinna, avvenuto l’11 settembre nelle campagne di Palau, hanno preso la parola di fronte ai media entrambi i genitori di Emanuele Ragnedda, l’imprenditore indagato per il il delitto.

È risultato decisamente lapidario il commento della madre, Nicolina Giagheddu, intervistata dalla trasmissione Ore 14 Sera: “Posso solo chiedere perdono a quella famiglia. Non mi sento in colpa, ho sempre educato mio figlio al libero arbitrio, ma non vuol dire che sia autorizzato a uccidere una ragazza, un bambino, un gatto o chiunque: un’anima vivente. Solo Dio può parlare con mio figlio. Immagino stia già vivendo l’inferno, comunque lo merita. Se ha fatto quello che ha fatto, si merita l’inferno. Non lo andrò a trovare mai. Non si possono perdonare certe cose”.

Giagheddu, che ha ricordato come lei e il marito siano due persone diverse, ha affermato che non le interessa come il figlio stia trascorrendo questi primi giorni di indagine in carcere. Ha aggiunto che il proprio padre le aveva lasciato la terra, che lei ha affidato al figlio per la sua impresa commerciale. “Ho sbagliato”, è la sua considerazione in tal senso, sottolineando la sacralità di quel retaggio.

Più vicino al figlio invece Mario Ragnedda, che tuttavia non si risparmia a puntare il dito contro la propria prole: “Questa ragazza è morta, mio figlio le ha sparato, ma è come se fosse morta una figlia per me. Io oggi ho una figlia morta e un figlio vivo, in carcere. Io avrei preferito che fosse morto Emanuele e parlare di un’altra storia, ma la storia è questa”.

Cinzia Pinna aveva 33 anni ed è stata uccisa con tre colpi di pistola, di cui uno letale al volto, come ha stabilito l’autopsia. L’11 settembre 2025 è stata ripresa da una telecamera di videosorveglianza in stato di difficoltà, mentre saliva su un’automobile che poi è risultata essere quella di Emanuele Ragnedda. Che, pur avendo confessato il 23 settembre, invoca la legittima difesa, affermando che la donna lo avrebbe aggredito.

L’ipotesi su cui lavorano gli inquirenti è che Emanuele Ragnedda abbia portato Cinzia Pinna nella propria tenuta, dove le avrebbe somministrato alcol e droga. Per Pinna quella sera, sarebbe stato chiamato il 118, ma poi l’intervento sarebbe stato rifiutato. Gli investigatori stanno vagliando se, dopo l’omicidio, un uomo e una donna siano entrati nella tenuta nel tentativo di cancellare le tracce di sangue sul divano e sui mobili.

Inoltre si indaga sul giro di cocaina nella zona di Conca Entosa, alla ricerca degli spacciatori l’avrebbero rifornita a Ragnedda. Dagli atti risulta che quella notte sarebbero state consumate diverse dosi, oltre a quattro bottiglie di vino.

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