"Chi ha ucciso Pozzi?". Il giallo di Affori, tra piste non battute e accuse alla figlia

È andato avanti per anni il procedimento giudiziario a carico di Simona Pozzi, accusata del delitto del padre, il commerciante di scarpe Maurizio Pozzi.

"Chi ha ucciso Pozzi?". Il giallo di Affori, tra piste non battute e accuse alla figlia

Un giallo senza colpevoli. Maurizio Pozzi venne trovato cadavere il 5 febbraio 2016 all’interno del suo appartamento ad Affori, il quartiere milanese. Inizialmente si ipotizzò un malore, ma poi l’autopsia rilevò che l’uomo, 69enne commerciante di scarpe, era stato colpito 8 volte con un corpo contundente alla testa, forse un martello.

Per questo crimine fu indagata e poi rinviata a giudizio la figlia Simona Pozzi. Il movente, secondo gli inquirenti, era economico: nei conti di famiglia c’era un ammanco di 750mila euro. Ma gli avvocati di parte hanno sempre avversato quest’ipotesi. “Un movente insussistente”, lo liquida a IlGiornale.it l’avvocato della donna, Filippo Carimati. Simona andò a processo con rito abbreviato ma venne assolta.

Tuttavia su di lei pendeva, fino alla fine del 2022, un’altra accusa. Quella di essere stata, nel 2013, la mandante di un’aggressione subita dal padre a Piazzatorre, nell’Alta Val Brembana. La mano di quell’aggressione era stata trovata in Pasquale Tallarico, condannato per questo crimine, ma che a processo aveva puntato il dito contro Simona. Tallarico aveva affermato di essere stato assoldato al prezzo di 3mila euro, aggiungendo che Simona gli avrebbe chiesto del veleno, ma Tallarico le avrebbe consegnato solo acqua sporca, e che la donna somministrasse al padre dosi di tranquillanti. Simona Pozzi, inizialmente condannata a 4 anni di reclusione, poi è stata prosciolta in appello anche dalle accuse di lesioni, con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. In altre parole la donna non ha responsabilità non solo per l'omicidio, ma neppure per l'aggressione del 2013.

Avvocato Carimati, che idea vi siete fatti su quello che è accaduto a Maurizio Pozzi?

“È una domanda che ovviamente ci siamo posti ripetutamente io e il mio collega, l’avvocato Franco Silva, che ha condiviso la difesa di Simona Pozzi. Non siamo stati in grado di dare una risposta”.

Vi siete fatti un’idea?

“Abbiamo avuto l’impressione che le indagini si siano orientate a senso unico nei confronti di Simona Pozzi e che non abbiano invece valutato adeguatamente ipotesi alternative, che pure avevamo suggerito anche nella fase delle indegini preliminari. Gli inquirenti sono partiti da alcune intercettazioni telefoniche di malavitosi, intercettazioni che avrebbero trovato conferma nell’episodio di Piazzatorre: questo ha indirizzato definitivamente le indagini. La vicenda si è svolta in un contesto della zona di Affori e di alcuni soggetti malavitosi che sono soliti commettere reati d’altro genere anche ai danni delle attività commerciali”.

La sua assistita crede che si giungerà mai a una soluzione del giallo?

“Anche lei non riesce a farsene una ragione. Dice: mio padre, che io sappia, non aveva nemici. Però, a dire il vero, abbiamo rilevato alcuni atteggiamenti insoliti di Maurizio Pozzi: a volte usciva dal negozio per rientrare a casa, ma ci metteva più tempo del necessario. Cosa facesse in quel tempo non è mai stato indagato fino in fondo”.

Avete chiesto agli inquirenti?

“Abbiamo sempre sollecitato indagini in tal senso, anche per capire quali fossero le conoscenze e le frequentazioni dell’uomo, che sembrava essere un solitario, ma in realtà nella sua vita aveva avuto tanti interessi e intratteneva relazioni. Per esempio era stato dirigente di una società sportiva, non era un solitario”.

Naturalmente puntavate all’assoluzione, cosa che è avvenuta per l’omicidio. Per le lesioni è intervenuta la prescrizione. Non crede che, in generale, l’istituto della prescrizione possa rappresentare una “macchia” per coloro che, come la sua assistita, professano la propria innocenza?

“Quando c’è una sentenza definitiva, non si può dire che la persona che ha beneficiato del termine prescrizionale sia colpevole. Si tratta di una scelta tecnica, processuale, cui non si può rinunciare, soprattutto in presenza di elementi che a nostro avviso non sono stati valutati correttamente. Poi nel caso di specie va ricordato che per i fatti di Piazzatorre del 2013 il pubblico ministero aveva chiesto la condanna di Simona per tentato omicidio mentre il tribunale, dopo aver derubricato il reato, l'ha ritenuta colpevole per lesioni gravi. Quindi, prescrizione a parte, la decisione che è stata impugnata solo dalla difesa, ha smentito la tesi accusatoria”.

Quali sentimenti hanno attraversato la sua assistita, in lutto e al tempo stesso accusata di un delitto?

“Gli stati d’animo di Simona Pozzi sono stati vari. Lei ha un carattere molto forte e tende a controllare le emozioni. Le è stato contestato di essere la mandante dell'omicidio del padre, un'accusa durissima. Ha passato momenti davvero difficili per la perdita e perché è stato messo in dubbio il rapporto che aveva col padre. Simona Pozzi e il padre avevano rapporti molto stretti, non ci sono stati dissidi significativi tra loro. Pranzavano ogni giorno assieme, portavano a spasso il cane, passeggiavano, lui seguiva la nipotina. Per Simona Pozzi è stata una prova difficile”.

Avete sempre sostenuto che l’ipotesi di reato poggiava su un movente sbagliato: Simona Pozzi non avrebbe ricevuto nessun beneficio economico dalla morte del padre. Può dirci di più?

“Il movente economico l’abbiamo sempre contestato, perché non aveva nessun significato. Che nel corso degli anni ci siano stati investimenti sbagliati da parte di Simona Pozzi è vero, tuttavia quelle somme non erano andate altrove come qualcuno aveva ipotizzato. Gioco d’azzardo e stupefacenti non sono mai stati dimostrati, anzi è stato accertato il contrario. Il movente economico si è rivelato insussistente”.

Perché c’era un ammanco allora?

“Da un’analisi dei conti correnti sulle spese sostenute, i soldi, provenienti da conti cointestati di cui Simona aveva la disponibilità, sono sti spesi nella gestione del negozio che registrava perdite in un momento difficile per tutti gli esercizi commerciali di quartiere. Poi le spese per la famiglia, anzi per le famiglie di Simona e dei genitori nel corso degli ultimi anni. Si può gestire male un negozio ma questo non basta a sostenere il movente dell'omicidio. Poi è inverosimile che Maurizio Pozzi non ne fosse a conoscenza di tale situazione, perché era molto attento e presente in negozio”.

Dopo tante vicissitudini giudiziarie, chi è e cosa fa oggi Simona

Pozzi?

“Simona Pozzi continua a gestire il suo negozio, si sta impegnando molto in questa attività. Ha introdotto una nuova categoria merceologica, quella dell'abbigliamento. E per quanto ne so le cose stiano funzionando”.

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