
Quer pasticciaccio brutto de via Napo Torriani. Come in una riedizione “moderna” del celebre romanzo di Gadda. Ma qui siamo a Milano, non a Roma; in via Napo Torriani, appunto, e non in via Merulana. Tra i delitti che si consumano in queste due vie “maledette” c’è un secolo di distanza. E la differenza balza subito agli occhi: dalla tipologia dei reati, alle caratteristiche “antropologiche” dei protagonisti, passando per il milieu sociale che ci proietta in due mondi lontani fra loro anni luce.
Nell’opera letteraria di Carlo Emilio Gadda (nato a Milano, altro punto di contatto tra via Merulana e via Napo Torriani…), ambientata nella Capitale alla fine degli anni ‘20, si narra di un omicidio per rubare pochi gioielli: insomma, un classico della “nera” d’antan, facile da decifrare e ricondurre nei canali della convenzionalità, se pur a tinte fosche. Nei brogliacci della questura di via Fatebenefratelli e della Finanza di via Moscova, invece, a proposito della vicenda (vagamente “pop”) della Gintoneria e del dramma (decisamente più da “crime movie”) dell’accoltellamento del receptionist dell’hotel Nizza, si descrivono contesti proibiti dai connotati che sono lo specchio di una contemporaneità impossibile da interpretare, fatta di azioni in cui è arduo individuare una logica.
Milano, anno 2025: un uomo corre cercando di salvarsi dai fendenti di un collega, Emanuele De Maria, che tenta di ucciderlo a colpi di coltello; l’aggressore è lo stesso killer che poco prima ha ammazzato una donna e che il giorno dopo, braccato dalla polizia, si suiciderà gettandosi dalla guglie del Duomo. È plausibile tutto ciò? C’è la possibilità di “leggere” una simile dinamica? Di decodificarne la trama nascosta? La risposta è “no”. Idem per ciò che di strano accadeva nella Gintoneria di Davide Lacerenza, in realtà messosi nei guai da solo attraverso centinaia di video da lui stesso postati in rete. Risultato: una paradossale “autodenuncia” proprio per i reati (spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione) che gli vengono contestati dalla procura milanese. Sembra incredibile, eppure è andata così.
Roma, anno 1927. Durante i primi anni del fascismo il commissario della Squadra Mobile di Polizia Francesco Ingravallo (detto "don Ciccio"), “arguto e orgoglioso molisano”, indaga su un furto di gioielli ai danni di un'anziana donna di origini venete, la vedova Menegazzi. Che in seguito viene uccisa nello stesso palazzo che era stato teatro della rapina, la moglie di un ricco uomo d’affari. Il luogo del furto e dell'omicidio è un tetro palazzo al civico 219 di via Merulana, noto come "Palazzo degli Ori", situato poco distante dal Colosseo.
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