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"Uccise per amore di madre", la serial killer che trasformava le donne in saponette

Tre donne uccise, smembrate e sciolte nella soda caustica: la saponificatrice di Correggio è considerata una delle più terribili serial killer della storia

L'ascia, lo smembramento, il sapone: la storia di Leonarda Cianciulli
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1940, Correggio, cuore della Pianura Padana. Una piccola cittadina divisa tra fascisti e antifascisti, tra benessere e povertà, tra vita e morte. Ma la guerra non è l'unico pensiero degli abitanti. Tre donne intenzionate a cambiare vita svaniscono nel nulla, lasciando qualche lettera o cartolina ai pochi parenti o conoscenti rimasti in vita. Ma c'è chi vuole vederci chiaro, iniziando un'indagine personale. I risultati dell'investigazione privata saranno clamorosi, spingendo le autorità a individuare una delle più terribili serial killer della storia italiana: Leonarda Cianciulli, passata alla storia come la "saponificatrice di Correggio".

L'infanzia orribile

Leonarda Cianciulli nasce nel 1894 a Montella, provincia di Avellino. L'infanzia non è delle più semplici: ultima di sei figli, la madre la considera meno di niente, in quanto frutto di una violenza. Per lei nessuna carezza, nessun bacio, nessun segno d'affetto. La futura serial killer cresce respinta da tutti, sostenuta solo da amici immaginari.

Mascolina e simpatica, dal carattere gioviale, Leonarda Cianciulli conosce il riscatto nel pieno dell'adolescenza: allegra, socievole e soprattutto precoce, tanto da vantare relazioni con ragazzi più grandi. A metterle i bastoni tra le ruote ancora una volta la madre, pronta a darla in sposa a un cugino, una prassi di quei tempi. Lei però rifiuta la decisione materna e nel 1917, all'età di 23 anni, decide di sposare Raffaele Pansardi. La genitrice non partecipa al matrimonio, ma non solo: le augura ogni male possibile. Un episodio che condizionerà in maniera irreversibile la psiche della donna.

La maledizione e la scaramanzia

Suggestionata fin da bambina da maghe e chiromanti, Leonarda Cianciulli deve fare i conti con la maledizione della madre - una vita piena di sofferenze il suo augurio - e quello di una zingara: "Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi". Una predizione veritiera: la donna perde tredici figli tra aborti spontanei e parti prematuri. Originaria dell'Irpinia, la donna è molto scaramantica ed è pronta a tutto per scacciare il malocchio, dalle pozioni ai riti. E, dopo tanta fatica, riesce a rimanere incinta con successo, le nascono quattro figli: un bene da difendere a qualsiasi prezzo, in tutti i sensi. Sviluppa così un amore anormale, morboso, ossessivo.

La nuova vita a Correggio

Dopo aver vissuto a Lauria e a Lacedonia, nel 1930 il terremoto del Vulture spinge Leonarda Cianciulli e la sua famiglia al trasferimento a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Già condannata per truffa e furto, la donna tenta di guadagnare denaro un po' con ogni mezzo, lecito o illecito. Dà così il via a un'attività di compravendita di mobili e vestiti, senza accantonare la fama da fattucchiera, tra carte e amuleti. Lavori che fruttano, tanto da consentire alla famiglia di trasferirsi in una casa più grande e di assumere una domestica.

La vita di Leonarda Cianciulli cambia alla fine degli anni Trenta. Abbandonata dal marito, la donna deve fare i conti con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il figlio più grande e più amato, Giuseppe Pansardi, corre il rischio di essere richiamato al fronte, mentre un altro più giovane è militare di leva. Una situazione che getta la Cianciulli nello sconforto: lei, nonostante l'amore per il fascismo, non può permettersi il rischio di perdere i suoi figli. Anni dopo racconterà di un sogno con tanto di premonizione: avrebbe perso un figlio se non avesse compiuto dei sacrifici umani per aver salva la vita della prole.

Leonarda Cianciulli, la "saponificatrice di Correggio"

La Cianciulli individua tre donne sole, quasi senza amici e parenti, vogliose di cambiare vita: le vittime sacrificali perfette per salvare la vita dei figli, soprattutto quella del figlio maggiore. Le tre malcapitate sono Faustina Ermelinda Setti, Francesca Clementina Soavi e Virginia Cacioppo. Il modus operandi è lo stesso per tutti e tre gli efferati delitti, commessi tra il 1939 e il 1940: è lei a organizzare le false partenze, promettendo la realizzazione dei rispettivi sogni. La donna promette alla Setti un nuovo marito a Pola (Croazia), alla Soavi un nuovo lavoro a Piacenza, alla Cacioppo entrambe le cose a Firenze.

Un piano messo a punto con incredibile scaltrezza. Dopo aver sedotto le tre donne con impegni mirabolanti, le convince a vendere averi e proprietà per non presentarsi a mani vuote nella loro città. Il tutto senza dire una parola a nessuno. Il motivo? Non suscitare invidie, tenere lontano acrimonia e astio. Inoltre fa compilare alle tre donne cartoline e lettere da spedire ai pochi congiunti e conoscenti: i figli della Cianciulli le avrebbero poi spedite. Le donne diventano inconsapevolmente complici della propria morte.

Poi il capitolo finale: con la scusa di un ultimo saluto, Leonarda Cianciulli invita le donne a casa sua e, in un momento di relativa tranquillità, le colpisce alla testa con un'ascia, ammazzandole sul colpo. È lei stessa a raccontarlo successivamente e il resto della narrazione mette i brividi: Cianciulli porta i corpi nel ripostiglio, lo smembra e mette le varie parti in un pentolone con chili di soda caustica. Ogni corpo bolle e, sciogliendosi, il grasso diventa sapone, stando alla testimonianza dell'assassina. Una strategia messa in atto per sbarazzarsi dei cadaveri in maniera più semplici e senza destare sospetti. "Sapone" ma non solo: il sangue delle tre donne sarebbe "riutilizzato" come ingrediente di biscotti con farina, zucchero, margarina, cacao e latte. "Ne uscivano ottimi pasticcini", confesserà in un interrogatorio.

L'arresto e il processo

Foto segnaletiche di Leonarda Cianciulli

Preoccupata per il silenzio della cognata Virginia Cacioppo - professione soprano d'opera - Albertina Fanti si presenta dai carabinieri e denuncia la sua scomparsa. A causa della mancanza di prove, il commissario decide di non aprire alcuna inchiesta. Non paga, la donna inizia a condurre indagini in solitaria, scoprendo una cosa importante: la scomparsa delle altre due donne, la Setti e la Soavi. Entrambe con poche amiche e poco conoscenti, entrambe in viaggio verso una nuova vita. Molte le somiglianze tra le scomparse: tutte con più di cinquant'anni, ma pronte ad abbracciare con entusiasmo i risvolti dell'esistenza.

Le voci arrivano al commissario Serrao, che inizia indagini meticolose e puntuali. La svolta arriva grazie a un buono del Tesoro appartenente alla Cacioppo ma presentato al Banco di San Prospero dal parroco Adelmo Frattini. Il religioso indica come precedente possessore Abelardo Spinabelli, che a sua volta punta il dito contro Leonarda Cianciulli, sua amica o forse qualcosa in più.

Le perquisizioni portano le autorità a individuare i vestiti di Virginia Cacioppo nella casa della Cianciulli. Lei nega tutto, fino alla prova schiacciante: nel solaio vengono pizzicate una dentiera e un mucchio di ossa. Il commissario mette nel mirino anche il figlio Giuseppe come possibile complice: l'uomo confessa infatti di essere stato lui a spedire le cartoline firmate dalla Setti ai suoi parenti.

Quando viene coinvolto il figlio prediletto, la "saponificatrice di Correggio" vuota il sacco, rivelando ogni minimo particolare delle atrocità commesse:"Le ho uccise io e ho fatto tutto da sola [...] Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre". Leonarda Cianciulli finisce al manicomio di Aversa, dove rimane per 19 mesi. È lì che scrive il suo memoriale di 700 pagine. Filippo Saporito, docente all’Università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, non ha dubbi: si tratta di totale infermità di mente al momento dei fatti compiuti. Ma a causa della guerra, il processo viene sospeso e rinviato alla fine del conflitto.

Il processo e la morte

Seguitissimo dai media, il processo prende corpo nel giugno del 1946. Leonarda Cianciulli si autoaccusa e chiede di lasciare in pace il figlio Giuseppe. La donna racconta non senza colpi di teatro i misfatti, mostrando addirittura come sezionare i cadaveri con professionalità. L'accusa chiede l'ergastolo per la serial killer e 24 anni di reclusione per il figlio, mentre la difesa ribadisce l'infermità mentale della donna e la mancanza di prove per condannare il primogenito. Dopo quasi tre ore di riunione, la sentenza: 30 anni di carcere alla Cianciulli e assoluzione per il figlio. La campana non passa la sua vita in carcere, ma in manicomi giudiziari, continuando a cucinare pasticcini e a leggere la mano.

La morte avviene il 15 ottobre del 1970, nel manicomio di Pozzuoli, a causa di apoplessia cerebrale.

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