
Una notte d’estate, due valigie. Sembrerebbe l’inizio di una vacanza. Non lo è per Donatella Grosso, scomparsa ormai da decenni. In questi casi si usa dire “senza lasciare traccia”. Ma è un’espressione che non significa nulla: un essere umano non scompare in questo modo, e soprattutto le tracce le lascia eccome. È questo lo spiraglio, il sottile appiglio - che in alcuni aspetti di lega a un caso di cronaca molto diverso - per riaprire il caso e forse giungere a una verità su cosa sia accaduto a Donatella Grosso, della quale nel 2019 è stata dichiarata la morte presunta.
Una scomparsa incredibile
È il 26 luglio 1996, un giorno che sembra di un passato lontano. Donatella Grosso è una giovane donna laureata in lingue. Ha due genitori, Tina e Mario Grosso, che la amano (e che per il loro caso si sono rivolti a “Chi l’ha visto?”), tanti amici. Frequenta un coetaneo, studente universitario, che ha una relazione pregressa, ufficiale.
“Donatella Grosso era una ragazza piena di vita, entusiasta delle esperienze che stava facendo e molto sensibile. Era l’unica figlia di una coppia di insegnanti molto attenti: non si sa se non fossero al corrente della ‘relazione segreta’ della figlia o se avessero capito, quel che è certo è che la lasciavano libera nelle sue scelte”, racconta l’avvocato della famiglia Giacomo Frazzitta.
La sera di quel giorno d’estate, nella sua casa di Francavilla a Mare in provincia di Pescara, potrebbe esserci stato una discussione, almeno così una vicina avrebbe riferito successivamente agli inquirenti. Alle 23.30 poi Donatella sarebbe uscita di casa con due valigie. L’uomo che frequentava riferisce di averla accompagnata alla stazione di Pescara perché sarebbe stata in partenza per un viaggio, ma in stazione nessuno la vede. “La sera prima erano state udite delle grida dall’abitazione di Donatella. C’erano state sicuramente delle problematiche quella notte nell’appartamento. Abbiamo tre persone, tre vicini di casa che la vedono mettere la propria valigia all’interno dell’autovettura del ragazzo con cui lei stava e allontanarsi”.
Giungono, nei giorni successivi alla scomparsa, delle lettere alle persone cui la giovane vuole bene. Una ai genitori, i quali sono completamente all’oscuro del presunto progetto del viaggio. Una a un amico, in cui specifica che il viaggio avrebbe dovuto restare segreto. Una a un’amica, alla quale confida: “Sono sicura che mi perdonerai, sai quanto è importante per me e per questo lo seguo. Voglio fare questo ultimo tentativo”.
Le indagini senza fine
Nel corso del tempo le indagini sono state aperte e chiuse più volte. “A maggio 2012 si riaccesero le speranze perché ricevemmo una segnalazione in una telefonata da una cabina telefonica. Chiedemmo delle verifiche, che all’epoca si sarebbero potute fare e che però non furono svolte”, aggiunge Frazzitta. Probabilmente gli indizi più interessanti sono stati trovati nel corso delle indagini aperte nel 2009 e chiuse nel 2014, anno in cui è venuto a mancare Mario Grosso. L’uomo che Donatella frequentava venne iscritto nel registro degli indagati con le ipotesi di reato di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Un amico dell’indagato avrebbe raccontato di come l’uomo si comportasse in maniera aggressiva.
Venne chiesto il test del Dna sul francobollo incollato su una delle lettere, quelle che Donatella Grosso avrebbe inviato alla famiglia prima della partenza. “Donatella Grosso scrive una lettera, in particolare, che arriva il giorno dopo la scomparsa. Abbiamo più volte sollecitato per l’individuazione del Dna attraverso l’analisi delle tracce, al fine di individuare se vi fosse un’astratta riconducibilità a lei oppure ad altre persone. Ricordo che il generale Luciano Garofano intervenne a supporto di questa vicenda come nostro consulente tecnico e rilevò che effettivamente vi fossero tracce che potevano, in maniera statistica, condurre e ricondurre a determinate persone vicine a Donatella. Non in termini di certezza, ribadisco, ma in termini statistici, anche per una questione di coincidenza di alleli in quell’ambito geografico specifico. Abbiamo più volte sollecitato per la verifica, che non è mai stata fatta: oggi, alla luce delle importanti novità tecniche in tema di genetica forense, sarebbe opportuno riproporre in termini di maggiore attenzione questa nostra richiesta”.
Intanto, a Casacarditella, in un terreno di proprietà dell’indagato, nel 2013 vengono trovati degli oggetti femminili, sepolti a un metro e mezzo di profondità: un foulard, una calzamaglia, una scarpa, una cuffietta usa e getta. Precisa Frazzitta: “In una delle riaperture delle indagini dopo diversi anni venne sondato un campo anche attraverso il georadar, su impulso della procura e di un ispettore che aveva esaminato l’intera documentazione. E vennero trovati degli oggetti, su cui furono effettuati esami, ma purtroppo non vennero trovati elementi utili, niente che potesse supportare un avvio di indagine ulteriore. Nessun indumento venne riconosciuto con certezza, né tantomeno vennero rilevate tracce che potevano in qualche maniera essere riconducibili a Donatella Grosso”.
I dettagli che potrebbero cambiare tutto
Frazzitta ventila che quello che sta accadendo in un caso ben diverso potrebbe lasciare nuovi spiragli nella scomparsa di Donatella Grosso: a Palermo, dove a 33 anni dalla strage di via D’Amelio, all’interno di un’indagine collaterale, sono stati ritrovati nastri e carte dei quali era stata ordinata la distruzione. Dato che pure per Grosso era stata ordinata la distruzione dei nastri di intercettazione, è possibile che siano ancora integri anch’essi?
“Che ci sia stato qualche ostacolo è l’impressione che hanno avuto un po’ tutti, sicuramente l’hanno avuta i genitori. Ci stupì questa dichiarazione di distruzione delle conversazioni dopo appena sei mesi dalla scomparsa di Donatella Grosso: magari le conversazioni non sono state distrutte e sono da qualche parte in un fascicolo in archivio. È una di quelle cose che noi speriamo di poter anche a breve riprendere con un’istanza alla procura di Pescara - visto che in una situazione analoga è stata trovata una dichiarazione simile.
Non vorrei che ci siamo lasciati abbagliare sostanzialmente da questo documento che magari è un documento formale, che all’epoca, non so per quale motivo, si realizzava in tutte le procure ma in verità diciamo non è così”, conclude Frazzitta.