Cronache

Il 4 maggio giorno della Liberazione? Ma è il più menagramo della Storia

Finalmente liberi o quasi dall’emergenza Coronavirus. Ma il giorno scelto per ripartire non è di quelli che porta bene: dalla tragedia di Superga al dramma del gran premio di Monza è sempre stata una data sfortunata. Che unisce anche Vallanzasca ad Al Capone

Il 4 maggio giorno della Liberazione? Ma è il più menagramo della Storia

Non è solenne come il 5, consegnato all’eternità da un’ode del Manzoni a Napoleone e dalle lacrime di Ronaldo all’Olimpico dopo la Caporetto con la Lazio, e nemmeno rivoluzionario come il 3, il giorno in cui inizia il maggio francese, nasce la prima mail e l’euro diventa la nostra unica moneta.

Il 4 maggio se ne sta lì in mezzo a fare tappezzeria con l’aria del fratello sfigato, 124mo giorno del mese dicono gli almanacchi, quando non è bisestile, consegnato al patrocinio di 39 santi, il primo dei quali, San Ciriaco di Gerusalemme, era una specie di X-men del Trecento dopo Cristo, invincibile come un supereroe: fu, nell’ordine, mutilato, fustigato, consegnato alle fiamme, gettato in una fossa di serpenti e immerso nel bitume bollente. Siccome insisteva a non voler raggiungere la Casa del Padre fu finito con un colpo di spada al cuore. Ancona, di cui fu vescovo, lo venera distribuendo in nome suo giunchi benedetti ai devoti.

Il 4 di maggio, che probabilmente passerà alla storia patria come il 25 aprile della quarantena da Covid-19, la luce, mezza fioca, in fondo al tunnel, era fino a ieri, senza comunque smettere di restarlo, data di sciagura nazionale, come il 9 ottobre della diga del Vajont, il 14 novembre dell’alluvione del Polesine o il 28 dicembre del terremoto di Messina. È il giorno di Superga, il Grande Torino che si schianta sulla scarpata della basilica che sovrasta la città, il disastro aereo dove muore la meglio gioventù del calcio del dopoguerra, Valentino Mazzola, Ezio Loik, Guglielmo Gabetto, tutti e trentuno, equipaggio compreso. Si salvò il presidente Ferruccio Novo, l’uomo che lo costruì fu condannato a sopravvivergli. Non è solo la squadra dei cinque scudetti e delle cento partite in casa senza perderne una, quella che muore sulla collina, è il simbolo semplice e buono di un’Italia in cerca di riscatto dopo la guerra, un’Italia china sulle macerie che vuole tornare a sognare, è la speranza di un futuro migliore che muore, o almeno così sembra. Mezzo milione di persone partecipano al funerale, ma è l’intero Paese, in qual caso veramente unito, che piange disperato.

Era anche il giorno in cui l’Italia entrava nella Nato, ma cosa volete che importasse. Il contributo alla Storia del Paese del 4 maggio era tutto qui, se si esclude aver dato i natali a Rocco Siffredi e Renato Vallanzasca. Li ha dati anche, per ribadire la patente di portajella, anche a un pilota di formula uno tedesco dal nome infinito: Wolfgang Alexander Albert Eduard Maximilian Reichsgraf Bergeh Von Trips. Guidava una Ferrari nel Sessantuno, con il numero 8 sulla macchina, due volte 4, ed era a meno di un passo dal mondiale, ma a Monza alla staccata della parabolica, uscì di pista toccato da Jim Clark e diventò un missile che distrusse, davanti alle telecamere della tv, la vita di quattordici spettatori dietro le reti di protezione adatte più a un orto che a una gara di bolidi, la più grave sciagura, manco a dirlo, della storia della formula uno. Non deve essere un tipo sportivo il 4 di maggio.

Per chi ha une certa età ed è stato educato dagli sceneggiati tv degli anni Sessanta il 4 maggio è il giorno in cui finisce la Guerra delle Due Rose, la bianca e la rossa, che ha ispirato uno degli sceneggiati più d’impatto della storia della tv, la Freccia Nera. Edoardo IV sconfigge l’esercito dei Lancaster, e Aldo Reggiani sposa Loretta Goggi rinunciando agli onori e alle glorie del Duca di Gloucester, di gobba andreottiana. Migliori di certo le sue prestazioni all’estero: è il primo giorno di galera di Alfonso Capone detto Al e di Theodore Kaczynski meglio noto come Unabomber, è il giorno in Margareth Thatcher diventa la prima donna ministro del Regno unito e il giorno in Sudafrica finisce l’apartheid. C’è stato anche un virus esploso il 4 di maggio del Duemila, ma era informatico e si chiamava «Ilovetou».

Ma conserviamo la speranza: in fondo i giorni sono tutti diversi, ma la notte è una.

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