Coronavirus

Abbandoniamo la paura che ci ha tolto la #libertà

Il Covid ci ha messo paura. Ma è arrivato il momento di riprendere in mano la nostra libertà. Per poter tornare finalmente a vivere

Abbandoniamo la paura che ci ha tolto la #libertà

Il suo vero nome era Charles Maurice de Talleyrand-Pèrigord, anche se tutti lo chiamavano il "diavolo zoppo" a causa del suo claudicare. Poco più che neonato, cadde da un mobile a causa di una balia distratta e non si riprese più. Per tutta la vita ebbe bisogno di una protesi che, seppur orrida, gli permise di viaggiare in gran parte del mondo allora conosciuto e fin dentro i fitti boschi del Massachussetes, che batté in lungo e in largo, prima di disboscarli e venderli al miglior offerente. Talleyrand avrebbe potuto seguire il destino che la famiglia gli aveva preparato - vescovo, seppur ateo e libertino - ma non lo fece, se non per breve tempo. Decise di essere libero. Di metter in gioco la propria vita e di essere fedele a se stesso. E questo nonostante i pericoli, alla fine del Settecento, fossero molti: durante il Terrore si rischiava di perdere la testa per una parola fuori posto e, qualche anno più tardi, di finire in prigione dopo esser stati accusati di esser bonapartisti. Oppure ancora di esser giustiziati in quanto spie, vere o presunte, o perché non si aveva nemmeno un tozzo di pane da mangiare. Vivere, all'epoca, era una cosa seria perché significava innanzitutto rischiare. E così è stato fino a non molto tempo fa (almeno in Occidente).

La mia generazione, quella dei millennial, è cresciuta senza conoscere un reale pericolo: non abbiamo vissuto né la Guerra fredda né gli anni di piombo. Grazie a Dio, almeno in Italia, siamo stati risparmiati pure dalla minaccia jihadista. La felicità, per noi, è sempre stata a basso costo. "Sai", mi diceva un amico siriano, "oggi sono davvero felice: non è morto nessun mio amico". Un abisso.

Io e i miei coetanei non siamo stati sfiorati dall'idea della morte. Abbiamo vissuto in maniera spensierata e serena. Ma a che prezzo? Nessuna prova ha forgiato il nostro carattere. Non c'è stata nessuna battaglia, neppure spirituale, che ci abbia fatto crescere (si legga a tal proposito La battaglia come esperienza interiore di Ernst Jünger). Senza rendercene conto siamo diventati la generazione degli "snowflake", dei giovani "fiocchi di neve", "considerati emotivamente fragili, incapaci di affrontare opinioni contrastanti. Persone eccessivamente sensibili, che non sopportano le critiche. Una generazione di individui delicati che si considerano speciali, unici", secondo la definizione che fornisce Vanity Fair. Dei giovani che avevano (e hanno) la libertà senza la capacità di sfruttarla realmente perché, alla fine, abbiamo paura di vivere.

Il Covid-19 ha acuito tutto questo. Ci ha ricordato quanto le nostre esistenze siano fragili. Effimmere. È bastato un virus invisibile a farci chiudere in casa (compreso chi ora sta scrivendo queste parole, rampognando gli altri), rinunciando così, seppure momentaneamente, alla nostra libertà. Lo abbiamo fatto tutti, nessuno escluso. Tutti siamo stati colti dalla stessa paura: "Se mi ammalo io che succede?", si chiedeva, lui per tutta Italia, il presidente del Consiglio di allora, Giuseppe Conte.

L'incertezza ci ha spaventato, così come la possibilità, seppure remota per la fascia d'età che va tra gli 0 e i 49 anni, di morire. Abbiamo rinunciato agli affetti e a costruirci un futuro. Abbiamo messo le nostre in vita in pausa, nonostante i rischi fossero prossimi allo zero. Abbiamo murato in casa gli anziani per paura (anche comprensibile) di ucciderli, ma così abbiamo strappato loro gli ultimi scampli di esistenza: "Perdere un anno di vita a 91 anni non è come perderlo a 20 o a 50. Noi abbiamo poco tempo", ha raccontato una 91enne chiusa in una rsa a Avvenire. "Per noi un mese sono dieci anni vostri", ha proseguito l'ospite che non può più vedere i nipoti: "Avevo 90 anni l’ultima volta che ci siamo abbracciati, ora ne ho 91. Mi mancano tanto, vivo solo perché aspetto il giorno in cui li rivedrò". Ed è forse questo il punto: non si può continuare a lasciare tutto in sospeso. A un certo punto bisogna farsi forza ed essere consapevoli che il rischio esiste e che deve essere affrontato. Dobbiamo essere più forti della paura.

Se non vogliamo vivere da morti.

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