Fisico globetrotter con un rammarico

Alessandro Cerri: "Sono partito con l'idea di una breve esperienza all'estero. Dopo 14 anni la mia crescita professionale e scientifica è passata attraverso sei 'traslochi', cinque affiliazioni e due grandi esperimenti di fisica delle particelle elementari"

Fisico globetrotter con un rammarico

Fisico laureato a Pisa, Alessandro Cerri da 14 anni vive all'estero. Attualmente è "reader" alla University of Sussex, nel sud dell'Inghilterra, ma nei prossimi due anni opererà al Cern di Ginevra per dedicarsi alla ricerca grazie al supporto della sua università. La sua crescita professionale nell'ambiente della ricerca è passata attraverso sei traslochi (da Pisa a Chicago, a Berkeley, a Ginevra, di nuovo a Berkeley, poi Brighton e ora di nuovo Ginevra), cinque "affiliazioni" prestigiose (Scuola Normale Superiore, Università e Istituto nazionale fisica nucleare di Pisa, Lawrence Berkeley National Laboratory/Università di Berkeley, Cern e University of Sussex) e due grandi esperimenti di fisica delle particelle elementari (Cdf e Atlas). "Ho avuto la fortuna - racconta - di partecipare ad esperimenti e collaborazioni prestigiosi, lavorato accanto a persone che mi hanno perlopiù ispirato, incoraggiato e di cui sento di aver guadagnato la stima e - talvolta - l'amicizia. Ho coperto e ricopro tuttora ruoli di responsabilità e coordinamento a livello internazionale nella ricerca nel mio campo. Sono attualmente uno dei due coordinatori delle "operations" dell'esperimento Atlas - uno dei due esperimenti del Cern che non molto tempo fa ha scoperto il Bosone di Higgs". In pratica il suo ruolo è quello del "direttore di orchestra" dell'esperimento: coordinare e assegnare priorità nella raccolta dei dati e il funzionamento dell'esperimento, per raccogliere nel modo più efficiente possibile la massima quantità di dati.

Perché hai lasciato l'Italia?
Come molti dei mie colleghi dediti alla ricerca di base, ho lasciato l'Italia per ampliare la mia esperienza nell'ambiente scientifico internazionale, ma anche alla ricerca di opportunità e stabilità che l'Italia in quel momento non poteva garantirmi. La scelta non è stata facile e si è sviluppata in modo completamente diverso da come mi aspettavo: sono partito con l'idea di una breve esperienza all'estero, convinto ed estremamente motivato a tornare per restituire al mio paese quello che aveva investito su di me ma... eccomi qui dopo 14 anni!

Ora come ti trovi?
Sono felice. Ho conquistato in Inghilterra - grazie al mio profilo, alla mia esperienza, e al supporto dei miei colleghi - una posizione che difficilmente si raggiunge in Italia alla mia età. Come immaginerai la mia vita (amicizie, rapporti umani e sociali) è stata molto condizionata dal non aver passato - in media - più di 3-4 anni nello stesso posto per così tanto tempo. D'altro canto, ho amici in molti continenti, l'esperienza e lo spirito di un vero cittadino del mondo, e la sete e la curiosità di scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo.

Hai valutato altri Paesi/soluzioni?
Arrivare in Inghilterra per me è stato un colpo di fortuna. Sarei restato volentieri in molti dei posti in cui ho lavorato, e ho avuto la fortuna - in Inghilterra come nei precedenti impieghi - di collaborare con persone entusiasmanti, guidare studenti curiosi e interessati, e lavorare a stretto contatto con persone di grande esperienza e cultura. Ho valutato anche la possibilità di abbandonare la ricerca e l'ambiente universitario - come altri mie colleghi e amici di tutto rispetto hanno fatto privilegiando talvolta la loro famiglia e la vita privata - ma sono contento di non averlo fatto.

Ti pesa essere dovuto andare via dal tuo Paese?
Più che un peso, mi rattrista non essere riuscito a tornare in Italia ad incoraggiare i nostri giovani, a comunicare l'entusiasmo e il piacere di ciò che faccio, a proseguire la mia carriera scientifica ed universitaria da "italiano". Non fraintendermi: la comunità scientifica internazionale - soprattutto per noi - è straordinariamente connessa oltre ogni confine e guerra, ed io mi sento veramente un cittadino del mondo. Come dicevo prima, però, mi sarebbe piaciuto "restituire" al mio paese e ai nostri giovani quel credito e quell'investimento di cui ho beneficiato.

Rimproveri qualcosa all'università italiana?
Distinguiamo prima di tutto l'università dalle istituzioni che la "controllano" e l'hanno formata in ciò che abbiamo oggi. Ma mi vorrei concentrare, per essere più costruttivo, sull'università così come è oggi e sulle scelte che l'università ha fatto date le "condizioni istituzionali".

Prego...
Ho avuto la fortuna di venire a contatto con alcuni dei migliori esponenti delle nostre università, e ho poco da rimproverarle per la mia educazione. D'altra parte so che le cose non sono dappertutto così, e che la nostra università sta cambiando. Non sempre in meglio. La cosa che mi rattrista di più è che ho visto il nostro modello universitario ispirarsi ai modelli e cedere alle pressioni sbagliate: l'università italiana, secondo la mia esperienza, ha formato e continua a formare alcuni degli studenti più brillanti e preparati. Ma stiamo progressivamente perdendo questo "vantaggio", optando per un modello sempre meno selettivo e sempre più omologato. Non credo nella cultura del "pezzo di carta": in qualche modo negli ultimi 30-40 anni ci siamo raccontati che per avere un buon impiego dobbiamo essere laureati. Ci siamo dimenticati che c'è bisogno di persone specializzate non solo nella medicina, biologia, fisica o letteratura, ma anche nella produzione del formaggio, nell'industria, nell'agricoltura e nei mestieri. E che questi mestieri hanno bisogno di competenze, esperienze e preparazioni diverse che non sempre sono bene impartite tramite l'università.

Tutta colpa del famoso "pezzo di carta"?
È diventata una giustificazione per "parcheggiare" i nostri giovani e ritardare il loro ingresso nel mondo del lavoro, e al contempo sta diluendo e squalificando l'insegnamento e la qualità dei nostri studenti. È estremamente importante, secondo me, dare a tutti accesso a qualunque livello di educazione, sulla base del merito e della predisposizione personale, e senza compromettere la qualità dell'educazione. Vorrei che l'Italia capisse che il modello di educazione che stiamo perseguendo - e secondo il quale stiamo lentamente riformando le nostre università - non è forse il migliore: non si parla mai - per esempio - del modello finlandese (che pure è considerato ai primissimi posti). Dobbiamo allontanarci da questa cultura del "pezzo di carta". Uno degli educatori e scienziati italiani che rispetto di più una volta mi disse, con tono provocatorio, che all'università dovremmo consegnare "il pezzo di carta" agli studenti non appena si iscrivono, e poi lasciar loro scegliere se seguire i corsi e le lezioni.
Le nostre istituzioni e anche i cittadini dovrebbero avere più rispetto e restituire dignità al sistema educativo e agli insegnanti. Chi di noi non ha incontrato un insegnante frustrato e rassegnato?.

Cosa chiederesti a chi ci governa?
Vorrei che investisse di più nell'educazione e nella ricerca di base. Queste sono risorse e investimenti vitali per la cultura e l'economia di un paese. Purtroppo sono anche investimenti a molto lungo termine, su scale che sono ben più lunghe di quelle della carriera del politico medio.

Secondo te ha qualche in marcia in più il Regno Unito rispetto a noi?
Allargando un po' il confronto ai paesi in cui ho vissuto e/o con cui ho avuto più stretti rapporti, ti posso dire che i nostri studenti sono considerati tra i più bravi e preparati. Le statistiche in questo non mentono: gli italiani all'estero sono assunti (con contratti indeterminati e/o a termine) ad nauseam (talvolta letteralmente). Nel mio dipartimento 7 universitari su 42 sono italiani e 21 su 42 sono di nazionalità diversa da quella inglese. Ciò che manca in Italia e che vedo all'estero sono opportunità stabili per i giovani, nostri e stranieri ugualmente, e una selezione trasparente basata sul merito.

Come ti vedi tra dieci anni? E come vedi l'Italia?
Sopra ogni cosa, spero di continuare ad evolvere nella mia carriera, di riuscire a mantenere e a trasmettere l'entusiasmo e il piacere per quello che faccio. E magari anche di riuscire a conciliare in modo più equilibrato il lavoro e la vita personale.


Non so davvero cosa aspettarmi per l'Italia tra 10 anni: vorrei vederla tornare sui suoi passi, e diventare sempre più il paese in cui prosperano cultura, conoscenza ed educazione ai massimi livelli. Temo invece di vederla diventare sempre più un paese soffocato dai propri problemi, incapace di lungimiranza e indipendenza rispetto a modelli deboli e poco efficaci.

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