Guerra in Ucraina

Un anatema sul futuro

Di parole grosse, valutazioni sprezzanti e tesi liquidatorie dell'avversario in questa guerra ne abbiamo sentite tante. Da entrambe le parti

Un anatema sul futuro

Di parole grosse, valutazioni sprezzanti e tesi liquidatorie dell'avversario in questa guerra ne abbiamo sentite tante. Da entrambe le parti. Ma l'anatema, perché di questo si tratta, lanciato dall'ex presidente russo Dmitri Medvedev contro l'Occidente fa storia a sé. Intanto perché il personaggio è in cima alla lista dei favoriti alla successione di Vladimir Putin, qualora per motivi di salute (si rincorrono voci incontrollate da settimane) decidesse di lasciare il potere. In secondo luogo perché esprime la sua posizione con una violenza verbale senza precedenti e colloca il conflitto ucraino in uno scontro politico, culturale, antropologico e addirittura etico con gli occidentali: «Li odio. Sono dei bastardi e dei degenerati. Vogliono la nostra morte. Finché sarò vivo, farò di tutto per farli sparire».

Più che un ragionamento, è un mix di rancore, veleno e bile. Che fa piazza pulita delle congetture di chi sogna le trattative anche se si sente solo il rumore dei cingolati e i boati dei missili, di chi predica la pace anche se manca l'interlocutore con cui siglarla, di chi mette sullo stesso piano l'aggressore russo e l'ucraino aggredito, dividendo paradossalmente a metà le responsabilità della guerra, Non è così. Non è uno scontro di valori, ma di civiltà. La Russia non è più quella di Pratica di Mare: da una parte è stata risucchiata dal suo passato, è ripiombata nell'incubo dell'Unione Sovietica; dall'altra il suo baricentro si è spostato verso l'Asia, allontanandosi dall'Europa. Neppure il peggior Biden, quello che è stato accusato da alcuni di essere un guerrafondaio, ha mai usato un lessico così virulento.

Questo non significa che non si debba ricercare la pace in tutti i modi. Anzi, ancora di più. L'importante però è sapere chi si ha di fronte. E tenere a mente una serie di corollari. Il primo è che per il momento in Russia continuano a prediligere l'opzione militare, forse inebriati dai successi sul campo dell'ultima settimana. Il secondo riguarda il sentiment del gruppo dirigente: se l'ex riformista Medvedev per assicurarsi la poltrona di Putin nella corsa alla successione deve trasformarsi in un falco, spietato e crudele, significa che al Cremlino la maggioranza la pensa in questo modo. A cominciare dall'attuale Zar, che sicuramente avrà l'ultima parola nella scelta del suo delfino. Infine, appunto, Putin: non è detto che uscito di scena lui la situazione migliori. Non c'è mai fine al peggio. Anzi, potremmo scoprire che chi viene dopo potrebbe farci rimpiangere il vecchio Vladimir almeno per un motivo: Putin, al momento, può decidere da solo se continuare o fermare la guerra; il suo successore invece dovrà renderne conto alla nomenklatura, ne sarà condizionato. Non è una piccola differenza.

Infine, se il retropensiero che anima i possibili successori di Putin è quello di eliminare l'Occidente, allora la guerra, purtroppo, sarà lunga e tragica, perché i nostri avversari dovranno convincersi che l'Occidente non morirà mai.

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