Con una «voce dal sen fuggita» Matteo Renzi ha ammesso di essere «troppo arrogante e cattivo» e, in qualche caso, anche «troppo impulsivo». Intendiamoci. Non ha fatto nessuna autocritica se non, forse, per quanto riguarda l'impulsività, che ha promesso di correggere o, comunque, contenere. Per quel che concerne sia l'arroganza sia la cattiveria ha dato la sensazione di considerarle in politica non già difetti (...)
(...) ma pregi. Del resto, se non fosse stato arrogante e cattivo, non avrebbe liquidato con colpi bassi la «ditta» Pd né avrebbe avuto la cinica disinvoltura di liberarsi di Enrico Letta con un luciferino «stai sereno!».
La verità è che Matteo Renzi, nato in quel di Rignano sull'Arno, deve aver fatto tesoro dei consigli del fiorentino Niccolò Machiavelli sull'arte di conquistare il potere separando l'etica dalla politica e trovando il modo di adeguare i mezzi disponibili al fine da raggiungere. L'«arroganza» e ancor più la «cattiveria», sublimate da una buona dose di ambizione e di cinismo, sono le doti fondamentali per una buona riuscita in politica. E lo si è visto. Altro che intrighi, felpati e salottieri, da Prima repubblica! La conquista e la gestione del potere affidate all'«arroganza» e alla «cattiveria» consentono a Renzi di rottamare il rottamabile e di far sì che come capitava ad Attila alla testa degli Unni dopo il suo passaggio non rimanga un filo d'erba del vecchio sistema.
L'aver ammesso di essere «arrogante» e «cattivo» va a tutto merito di Renzi. Il quale così facendo, ha riconosciuto, sia pure implicitamente, una sua vocazione autoritaria. Tutti o quasi i dittatori della storia sono stati «arroganti» e «cattivi». Il «cattivo» è naturalmente portato a calpestare gli altri per far trionfare la propria personalità. Stalin, Hitler, Mao Tse Tung e Pol Pot per limitarci ai personaggi storici riconosciuti fra i più «cattivi» e «crudeli» dell'età contemporanea hanno lastricato di cadaveri la loro strada verso il potere e poi hanno costruito regimi caratterizzati dall'illusione salvifica di un futuro paradisiaco e dalla negazione della libertà politica e delle libertà individuali. È vero, ci sono stati anche statisti che hanno governato con «autorità» senza trasformarsi in dittatori e che, anzi, hanno contribuito al rafforzamento e alla funzionalità delle democrazie liberali: Alcide De Gasperi, per esempio, o Winston Churchill, Charles De Gaulle o Margaret Thatcher per non dire di Ronald Reagan. Ma c'erano in loro «arroganza» e «cattiveria», sia pure allo stato latente? O non, piuttosto, realismo politico, carisma e fiducia nelle istituzioni e nella democrazia? Intendiamoci. Nessuna intenzione di paragonare Renzi ai dittatori «cattivissimi» e neppure ai politici e statisti democratici ricordati. Non sarebbe giusto né generoso. Diverse sono le loro stature intellettuali e politiche. Rimane il fatto che in politica la «cattiveria» si accompagna spesso anche a una istintiva e pericolosa vocazione verso l'autoritarismo. Una deriva che nelle moderne democrazie può manifestarsi in tanti modi, comunque illiberali.
Quando Renzi ammetteva la sua «arroganza» e la sua «cattiveria» sorrideva. Non è un buon segno perché, come dice Woody Allen, «i buoni dormono meglio, ma i cattivi da svegli si divertono di più». Speriamo non a spese della collettività.Francesco Perfetti
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