Tutte le volte che può torna a Procida. Maria Rosaria Capobianchi viene da lì, dall'isola di tufo giallo che guarda Napoli, non lontano da Cuma, dove la Sibilla cantava le sue profezie. Solo che nel lavoro di Maria Rosaria non c'è nulla di metafisico. È tempo. È studio. È domande. È fatica, attenzione, lavoro di gruppo, scambio di informazioni e qualche volta fortuna. È soprattutto scienza. La dottoressa Capobianchi da tutta una vita ha a che fare con i nemici furbi e quasi invisibili dell'uomo, dalle molte facce e le infinite metamorfosi. Ne conosce i segreti e le maschere. È lei a capo del team dello Spallanzani di Roma che ha isolato il coronavirus. Quando racconta l'impresa ci ritrovi qualcosa che pensavi perduto. Non sai bene come chiamarlo, ma sai che riguarda un certo spirito italiano. Non è questione di retorica nazionale. Forse è orgoglio, ma c'è dentro un modo di pensare, uno sguardo che ti fa realizzare qualcosa di imponderabile. Quello che gli altri non si aspettano. La dottoressa Capobianchi parla di testardaggine, di ricerca, di piacere, di andare avanti anche quando non tutte le cose funzionano al meglio, di restare qui, in Italia, anche quando si ha voglia di scappare, di un laboratorio che assomiglia a una costellazione, perché non brilla mai una sola stella. Parla di altre due donne, Eleonora Lalle e Concetta Castilletti, e di due uomini, Fabrizio Carletti e Antonio Di Caro, ognuno con il proprio talento e virtù. Non è però un gruppo chiuso, perché scambia informazioni con gli altri centri, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo. Appena hanno isolato il virus, in contemporanea con i colleghi francesi dell'istituto Pasteur, la prima mossa è stata mettere tutte le informazioni in rete. Condividere.
I cinesi, solo per fare un esempio, non lo hanno fatto. C'è questa cosa che gli italiani possono avere molti difetti, ma sanno dare. Sono generosi.
Come hanno fatto a isolare il virus così in fretta? «Con un'organizzazione ferrea, lavorando per giorni senza una pausa, anche improvvisando e senza farci mancare un pizzico di fantasia». È la risposta della dottoressa Capobianchi. Magari è un luogo comune sul genio italiano.
Quello che ti chiedi se davvero esiste o è solo una leggenda che ci raccontiamo. Però adesso ci sta. Sono troppi anni che respiriamo rancore e sconforto. Ci siamo rassegnati a vedere tutto nero. L'Italia di Maria Rosaria Capobianchi e della sua squadra ci regala una manciata di orgoglio.
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