Arte povera, artisti ricchissimi

Per gli esperti di arte antica «arte povera» significa applicazione artigianale di materiali semplici e poveri per fingere gli effetti dei mobili pregiati. Ora, nella Kermesse torinese di Artissima, si rende omaggio a un'altra Arte povera che compie solo cinquant'anni, ed è tutto meno che povera e tutto meno che popolare.

Nella sua coatta celebrazione, Francesco Bonami, definisce Celant «grillino ante litteram», che intuisce che «la società sta per cambiare». Bene. Una sola cosa è certa: il popolo, esclusa un'élite, ignora l'arte povera; in compenso gli artisti poveri sono diventati ricchissimi, compreso Celant. Un fallimento? No, un'impresa riuscita per, forse, diecimila persone nel mondo.

Questo sarebbe sufficiente a spegnere l'euforia dei celebranti; ma voglio ricordare che, nel 1967, era nella piena maturità un grande artista, tutt'altro che povero e morto giovanissimo, che oggi, alla faccia di Celant, ha le quotazioni più alte nel mondo, tra gli artisti italiani dopo gli anni Cinquanta: Domenico Gnoli. Mentre Celant ci «impoveriva», io mi occupavo di lui.

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