Coronavirus

La verità su AstraZeneca: nei giovani più rischi che benefici

La tabella dell'Ema: con bassa circolazione virale, AstraZeneca presenta più rischi trombosi che benefici nella lotta al virus. Il caso degli under 29

La verità su AstraZeneca: nei giovani più rischi che benefici

"AstraZeneca è un vaccino sicuro". Lo ripetono allo sfinimento scienziati, agenzie del farmaco, esperti. Eppure. Eppure se uno va a rileggersi la storia recente di questo farmaco e le tabelle dell’Ema sui rischi/benefici, un paio di dubbi non può non farseli venire. Dubbi magari eccessivi, in fondo milioni di persone nel mondo hanno ricevuto il siero di Oxford, ma in parte giustificati dai dati.

In principio fu il balletto di raccomandazioni. In pochi mesi il vaccino è stato autorizzato prima solo sotto i 55 anni poi fino a 65, infine aperto a tutti, sospeso momentaneamente e di nuovo riaperto a chiunque ma "raccomandato" solo sopra i 60. Insomma: un gran casino. Confusione cui va aggiunto l'incubo "trombosi", diventato ormai la spada di Damocle su chiunque si trovi di fronte ad una fiala di AstraZeneca. Ma chi rischia cosa? A metà aprile l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha pubblicato uno studio confrontando i rischi di trombosi ai benefici anti-virus del siero. In sostanza: un calcolo sulla probabilità che gli individui hanno, una volta ricevuto il vaccino, di evitare di contrarre il Sars-CoV-2, finire in terapia intensiva, morire di Covid rispetto a incappare in coaguli del sangue. Le tabelle prendono in considerazione sette fasce di età e in tre scenari di circolazione del virus: una diffusione “alta” con 886 casi ogni 100mila abitanti (come a gennaio 2021 in Ue), una “media” con 401 casi (come a marzo 2021) e una “bassa” con 55 casi ogni 100mila persone (settembre 2020). Il dato che emerge più chiaramente è risaputo: il beneficio del vaccino diminuisce al diminuire dell’età mentre il rischio di trombosi è decisamente più alto tra i giovani. Semplice. L’Ema ha poi calcolato i rischi/benefici dividendoli in relazione ai casi di ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva e morte. Un’analisi statistica che permette di rispondere alla domanda del giorno: ai giovani conviene farsi vaccinare, oppure corrono meno pericoli a rimanere senza immunizzazione?

Tabella 1
Tabella 1_terapia intensiva

Per capirlo occorre focalizzare l’attenzione sulla tabella dei ricoveri in terapia intensiva. La trombosi, infatti, è un evento grave che però in molti casi è possibile curare: non è insomma una condanna a morte, ma finire intubato non è neppure esperienza gratificante. Ipotizziamo ora di essere in una fase di alta circolazione del virus (tabella 1): nella fascia di età 20-29 anni, il vaccino previene il ricovero in TI in 6 casi ogni 100mila persone mentre il rischio di sviluppare la trombosi risulta 1.9. Via via che si sale con l’età, il dato si fa sempre più favorevole alla vaccinazione. Discorso simile, sebbene meno marcato, in caso di “media” circolazione del virus (tabella 2), dove agli under 30 converrebbe comunque farsi inoculare il siero.

tabella 2
Tabella 2_terapia intensiva

Altro discorso, invece, in caso di “bassa” circolazione virale (tabella 3). Cioè nella situazione attuale in cui si trova l’Italia, che vanta un'incidenza settimanale di circa 25 casi. Se il virus non corre, per la fascia 20-29 il rischio di sviluppare una forma grave di Covid è bassissimo. E infatti i casi di ricoveri in TI impediti grazie al vaccino sono pari a zero. Zero spaccato. E lo stesso dicasi per i 30-39 anni. Per queste due categorie, il pericolo di incorrere in una trombosi è invece più elevato: rispettivamente 1,9 e 1,8 ogni 100mila iniezioni. Il rapporto sfavorevole al vaccino aumenta con l’età fino ai 40-49enni, dove a ogni ricovero evitato corrispondono 2.1 casi di trombosi. Per i 50enni il rischio è praticamente pari, mentre scavallati i 60 si inizia a scendere e i benefici del vaccino si fanno sempre più importanti.

tabella 3
Tabella 3_terapia intensiva

Rischi/benefici: decessi

Se vogliamo osservare anche il dato sui decessi, il ragionamento non cambia di molto. Anzi. Forse si fanno solo più marcati i dubbio sui rischi che ci si assume a vaccinare con AstraZeneca i ragazzini. Sotto i 29 anni, sia in caso di alta, media o bassa circolazione virale, per i giovani i casi di morti prevenute grazie al vaccino è pari a zero. Zero. Il pericolo di prendersi una trombosi invece 1.9. Tradotto nel caso odierno: Camilla presentandosi all’AstraDay ha corso un maggiore rischio (di morire o finire in rianimazione) che ipotetici benefici. “Gli eventi trombotici post vaccino sono rarissimi - diceva l’immunologa Viola - ma anche un solo episodio è una tragedia”. Perché allora tirare dritto con i vax day se “sapevamo che il rischio nelle donne giovani supera i benefici”?

Occorre fare due precisazioni. Primo: alcuni scienziati ritengono che se non si vaccinano i ragazzi non si riuscirà mai a spezzare la catena del virus, che dunque il prossimo autunno potrebbe ripresentarsi, magari con altre varianti. Ovviamente non c’è nessun motivo per farlo con AstraZeneca, ma si potrebbero usare sieri a mRna che sembrano presentare meno controindicazioni nei giovani. Ed è la strada che si appresta a seguire il governo. Secondo: questo rapporto rischio/benefici a svantaggio del vaccino negli under 50 si è manifestato solo ora che la circolazione virale risulta bassa. Quando il virus corre, i rapporti cambiano e come visto anche per gli under 50 è più alto il pericolo di finire in terapia intensiva che quello di sviluppare eventi avversi rari. I benefici sono cioè maggiori dei rischi.

Con un unica postilla: a 18 anni, quale che sia la velocità di diffusione di Sars-CoV-2, è più facile fargli beccare una trombosi che salvare un giovane dal decesso per Covid.

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