Cronache

Azzardo di Renzi: al voto con il Consultellum

Il piano del leader Pd per far fuori tutti i ribelli dalle liste

Azzardo di Renzi: al voto con il Consultellum

C'è quello che dice di «no» a tutto. Matteo Renzi ai suoi l'ha detto in tutte le salse: «È inutile parlare di tedesco. Non ci sono i numeri a scrutinio segreto. In questo Parlamento non passa niente. E io non posso rischiare. Inoltre Berlusconi in Sicilia ha scelto la sua strada. Invece di puntare su Armao, su un candidato moderato vicino al Ppe, si è buttato, insieme a Salvini, sulla candidatura di un fascistone come Musumeci. Per cui, auguri».

E c'è quello che ci spera. Silvio Berlusconi continua a puntare sul proporzionale tedesco. «È l'unico sistema - ripete - che garantisce che la maggioranza che c'è in Parlamento sia la stessa di quella che c'è nel Paese. Il Consultellum? Ci costringerebbe a fare la lista unica almeno alla Camera e prenderemmo meno di voti di quelli che avremmo con più liste. Il Mattarellum? Peggio, ci legheremmo mani e piedi alla Lega. Risultato: rischieremmo di avere più voti del Carroccio e meno eletti».

E poi c'è quello che ci marcia. A parole Salvini parla tedesco, cioè proporzionale, invece, al telefono con Renzi, propone il Mattarellum, o Rosatellum, come dir si voglia, cioè a un sistema misto maggioritario-proporzionale che prevede metà dei seggi assegnati con i collegi uninominali.

E ancora, ci sono quelli che non sanno che pesci prendere, per cui si rifugiano nel parlare d'altro. Dicono i grillini: siamo per il modello tedesco, o per qualsiasi altra legge elettorale, basta che venga approvata la riforma dei vitalizi. Il che, in questo Parlamento significa dire «non se ne fa niente».

Non basta. Ci sono pure quelli che non demordono. I Franceschini, gli Orlando, quelli della minoranza Pd, e i Bersani, i D'Alema, gli scissionisti, che hanno affidato l'altro ieri al deputato Lauricella l'incarico di lanciare in commissione alla Camera una proposta diversa da quella ufficiale dei renziani: il modello tedesco condito da un premio di coalizione. Quest'ultima espressione è proprio quella che manda su tutte le furie Matteo Renzi, tant'è che la voce ufficiale del Pd, Fiano, ha precisato che Lauricella parlava a titolo personale, e quest'ultimo, invece, ha certificato la presenza di un altro Pd che si è posizionato sull'uscio della sede di via Nazionale: «Parlo - ha spiegato in quella sede istituzionale - anche a nome di altri».

E, infine, c'è il Quirinale, quello che secondo il Renzi di qualche mese fa, avrebbe dovuto spendere a tempo debito una parola di più in favore del tedesco e che ora, invece, rischia di dovere mettere la firma sotto un decreto legge per sanare le contraddizioni del sistema prodotto dalla sentenza della Consulta per Camera e Senato. Un provvedimento scabroso per la materia e che non si farà: un decreto, infatti, dovrebbe in ogni caso superare l'iter parlamentare e basterebbe un emendamento a rivoluzionare il suo contenuto e, quindi, il modello di legge elettorale.

Insomma, la scena politica fotografa l'impotenza. In realtà ogni protagonista si fa i conti su cosa gli giovi e cosa no. E i calcoli, tra alleati sulla carta e no, spesso non collimano. Per cui già stanno predisponendo le strategie per cimentarsi con lo «status quo». Prendiamo Renzi: il leader del Pd non ci pensa proprio ad affrontare un confronto parlamentare sulla legge elettorale, che si sa come parte, ma non si sa come potrebbe finire. «Quasi sicuramente andremo al voto - ha spiegato ai suoi il leader del Pd - con l'attuale sistema. Noi ci presenteremo con qualche alleato. Avete visto in Sicilia, quando è necessario, riusciamo a trovare un'intesa vedi con Alfano, vedi con Crocetta. Se bisogna fare qualche concessione, la si fa. Berlusconi, invece, secondo me, con questa legge avrà più problemi. O sceglie di andare da solo, per cui prende il suo 15-20% e poi decide il da farsi nel nuovo Parlamento. O fa la lista con Salvini, ma a quel punto rischia di avere meno eletti e, problema non trascurabile, deve individuare insieme a Salvini - operazione quasi impossibile - chi sarà il candidato premier. Anche perché non è detto che possa candidarsi». E l'ipotesi che alla fine il centrodestra, costretto, metta in piedi un listone unico e vinca le elezioni? Il segretario rincuora i suoi anche su questa eventualità che considera remota: «Con Berlusconi in campo nel 2013, in un assetto tripolare, il centrodestra non è arrivato al 30%. Certo se vince, se arriva al 40%, è giusto che governi. Noi avremo la presidenza del Copasir, ma se non vince (cioè non conquista la maggioranza dei seggi sia alla Camera, sia al Senato), anche se arriva primo, noi non faremo nessuna alleanza con i populisti, con i leghisti, che consideriamo il nemico. Al costo di andare, come in Spagna, subito a nuove elezioni. A quel punto Berlusconi dovrà decidere quello che non ha deciso prima del voto, se dividersi dai leghisti o no. E, in quel caso, il nostro gruppo parlamentare probabilmente risulterebbe il più numeroso in una possibile maggioranza non populista, per cui potremmo immaginare un governo di necessità, magari con Gentiloni premier».

Ma qui siamo nel campo delle elucubrazioni, delle ipotesi futuribili. Sul fatto, invece, che si vada al voto con il Consultellum, no. «Io - ha già annunciato ai suoi Renzi - mi presenterò in Senato, nel collegio della Toscana, cimentandomi con le preferenze. Ma i cento capilista della Camera li deciderò io. Se vorrò mettere Maria Elena (Boschi, ndr), o Luca (Lotti, ndr), chi potrà impedirmelo? Per questo Franceschini è nervoso. Io, invece, sono tranquillo. In fondo come tattico non sono malaccio. Vedi l'elezione di Mattarella. Mentre Berlusconi se la dovrà vedere con Salvini che alle sue spalle si prepara a lanciare il Rosatellum».

Appunto Salvini. A ben guardare, la legge che il leader leghista proprio non vuole è l'attuale: gli sta bene il tedesco, ancor di più il Mattarellum-Rosatellum, ma il Consultellum no. Quello che non lo convince è il listone del centrodestra con Forza Italia. «Ma quale quadrifoglio!», è sbottato con i suoi, che riportavano l'idea partorita ad Arcore di un simbolo unico, che metta insieme quelli di tutti i partiti del centrodestra. Il leader leghista ha il timore, infatti, di danneggiare l'identità del voto leghista. Cioè il suo punto di forza. Inoltre, problema di non poco conto, il sistema delle preferenze al Senato rischia di danneggiarlo. «Per essere eletti con le preferenze - è l'opinione di uno dei consiglieri più ascoltati, Giancarlo Giorgetti - ci vogliono i soldi e noi siamo al verde». Il partito è alle prese con la sentenza Bossi-Belsito che rischia di prosciugargli la cassa, senza contare che l'identikit tipo del candidato leghista è ben diverso da quello di Forza Italia, cioè di imprenditori, professionisti o notabili di lungo corso. Gente che dispone di ben altre risorse finanziarie rispetto al militante del Carroccio. In ultimo, un sistema basato sui collegi uninominali, permetterebbe a Salvini di legarsi a doppio giro con Forza Italia, evitando sorprese nel dopo-voto. «Lui - confida Raffaele Fitto, che nell'ultimo periodo lo sta frequentando molto - ha paura di giochi strani nel dopo-voto. Giochi che, diciamoci la verità, visto i numeri, sono nelle cose».

Giochi, invece, a cui il Cav in questo momento non pensa proprio. Berlusconi, infatti, è tutto concentrato sul risultato di Forza Italia ed è convinto che il modello tedesco sia il più adatto alla situazione del Paese. «Per ora Renzi sembra sordo - è il pensiero del Cav - ma forse una sconfitta in Sicilia potrebbe fargli cambiare idea». O potrebbe cambiare gli equilibri interni al Pd. Se ciò non avvenisse è probabile che il leader degli azzurri si attesti sull'attuale legge, organizzando un listone unico che non sacrifichi le identità dei diversi partiti anche nel simbolo. Anche se nel gruppo dirigente, specie al Nord, c'è chi in ultima analisi preferirebbe il Rosatellum: a nessuno, infatti, piace cimentarsi con le preferenze previste dal sistema del Senato.

Il risultato delle elezioni siciliane è atteso con ansia anche dalle minoranze e dagli «scissionisti» del Pd. Tutti sperano che qualcosa cambi, ma in realtà ci credono poco. «Ma cosa volete che cambi?!» predice Vinicio Peluffo, deputato lombardo: «Anche se arriviamo terzi, Renzi potrà sempre dire che è colpa di Bersani che ha diviso il fronte del centrosinistra. Inoltre più si va avanti e più conta il partito e meno i gruppi parlamentari: e lì il segretario è blindato. Può lusingare deputati e senatori con la riconferma; mentre i componenti degli organismi di partito sono compatti dietro a lui non fosse altro perché aspirano a entrare in Parlamento». E lo stesso Lauricella, che pure sta dando battaglia alla Camera per introdurre il premio di coalizione, ci crede poco. Siciliano di nascita e di carriera politica, sa bene come sono andate le trattative per l'alleanza con Alfano e Crocetta nell'isola. «Renzi gli ha promesso - dice sicuro - il mantenimento dell'attuale sistema elettorale, così a entrambi basta coalizzarsi con il Pd, e raggiungere la soglia del 3% in Sicilia, per assicurarsi un seggio al Senato».

E i grillini? Sono in ben altre faccende affaccendati, alle prese con quello 0,2% che ogni settimana perdono nei sondaggi. Puntano a governare il Paese, ma nella capitale la Raggi sta dando l'immagine del «non governo». Uno stillicidio. Tant'è che, come scrive Keyser Söze su Panorama, c'è chi tra loro sta accarezzando un'idea pazza, ma assolutamente in linea con la logica grillina: scaricare il sindaco di Roma prima delle Politiche, per dimostrare che il movimento, a differenza degli altri partiti che mantengono i loro dirigenti incollati alle poltrone, sa riconoscerne limiti e incapacità. Un'idea stravagante, nell'Italia delle stravaganze. Ma cosa c'è di più stravagante di un Paese in cui i partiti parlano per un anno e mezzo di legge elettorale, per non combinare alla fine, niente di niente? L'epilogo sarà il solito, quello della montagna che partorisce il topolino, magari un decreto ministeriale per risolvere i piccoli problemi del Consultellum e non un decreto legge, proprio per non passare sotto le forche caudine del Parlamento. E i possibili ricorsi al Tar? Se ci fossero, alla fine, finirebbero all'esame della Consulta, che non potrebbe non respingerli, visto che gli attuali sistemi sono frutto di una sua sentenza. Sarebbe davvero singolare un esito diverso.

O meglio, stravagante.

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