Più che strepitare per la possibile mozione di sfiducia contro il ministro Boschi (cosa che non ci appassiona) il governo e la maggioranza dovrebbero occuparsi di ridare un po' di fiducia agli italiani, attoniti di fronte alle notizie su possibili intrecci affaristici tra governo, parenti, sponsor e amici vari. E c'è un solo modo per farlo: mettere tutte, ma proprio tutte, le carte in tavola. Se nulla c'è da nascondere, nulla c'è da temere. Altrimenti risuonano come premonitrici le parole con cui Pierluigi Bersani commentò nel 2012 le amicizie di Matteo Renzi con gente abituata ai paradisi fiscali delle isole Cayman: «Su questo fronte - disse l'allora segretario del Pd - abbiamo già dato», riferendosi probabilmente alla stagione del governo D'Alema. Governo bollato da Guido Rossi, giurista, senatore Pci e poi presidente della Consob come «l'unica merchant bank dove non si parla inglese», tanti furono gli affari sospetti conclusi da quel governo a vantaggio dei soliti amici. Se a tutto questo aggiungiamo quel celeberrimo «abbiamo una banca!», urlato al telefono da Fassino a Consorte ai tempi della scalata Unipol, è chiaro che, a differenza di quanto si sostiene gratis alla Leopolda, la sinistra non ha mai offerto, né mai offrirà, garanzie di moralità e trasparenza superiori a chicchessia. È vero, come ha detto domenica Renzi difendendo con legittimo orgoglio di figlio il padre inquisito per affari pasticciati (alcuni anche con l'ex presidente di banca Etruria), che il tempo sarà galantuomo. È comprensibile che la ministra Elena Boschi giuri sull'onore di suo padre, che di Etruria era vicepresidente. Ma il governo non è una famiglia, ha il dovere di produrre non mozioni degli affetti, ma documenti e soprattutto ha il dovere di prendere precauzioni per tutelare tutti noi.Perché, per esempio, il fatto che la magistratura stia indagando su una fuga di notizie (l'imminente approvazione del decreto legge sulla privatizzazione delle banche popolari) che potrebbe avere avvantaggiato (600mila euro di plusvalenze in Borsa) un privato, è fatto grave non solo dal punto di vista giudiziario ma anche politico.
E se questo privato, Carlo De Benedetti, è anche l'editore del quotidiano filogovernativo La Repubblica oltre che tessera numero uno del Pd, ecco che il silenzio non è più accettabile. E noi su questo, in assenza di chiarimenti, continueremo a non tacere. Lo sappia il premier: anche per il 2016 ci candidiamo a vincere il suo democratico concorso di peggiore quotidiano dell'anno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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