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Batterio killer, Veneto ed Emilia-Romagna richiamano 10mila pazienti a rischio contagio

Con un protocollo congiunto, un pool di medici ha deciso di richiamare i 10mila pazienti, operati dal 2010 al 2017, per arginare il rischio contagio dal batterio killer. Che è già costato la vita ad alcune persone

Batterio killer, Veneto ed Emilia-Romagna richiamano 10mila pazienti a rischio contagio

A quell'operazione, in sette anni, si sono sottoposti in diecimila. Tutti nelle quattro Cardiochirurgie degli ospedali di Padova, Vicenza, Treviso e Mestre. Così i pazienti che, tra il 2010 e il 31 gennaio 2017, hanno subito la sostituzione della valvola cardiaca riceveranno un'informativa da parte della Regione. Che conterrà una scheda esplicativa, dove verranno elencati i sintomi provocati dal Mycobacterium Chimaera, che tutti oggi conoscono come "il batterio killer", e l'invito a contattare i numeri di telefono indicati qualora ne fosse insorto anche soltanto uno.

I sintomi e la cura

A dover allarmare gli interessati il manifestarsi di febbre, sudorazioni notturne e deperimento organico protratti per oltre due settimane e non legati ad altre cause. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, in caso i pazienti accusassero questi sintomi dovrebbero essere affidati ai reparti di Malattie Infettive e sottoposti a uno specifico esame microbiologico per la diagnosi effettiva.

Il batterio annidato nei macchinari LivaNova

A deciderlo è stato il gruppo di lavoro istituito dalla Regione, dopo i 18 casi di infezione (due su persone trattate fuori dal Veneto) e i sei decessi (su 30mila interventi eseguiti negli ultimi otto anni), legati al batterio che, tra Veneto ed Emilia Romagna, sta preoccupando medici e pazienti. E che, con tutta probabilità, si è annidato all'interno dei macchinari della LivaNova Deutschland GmbH. Il dispositivo è utilizzato per il riscaldamento e il raffreddamento del sangue in pazienti operati a cuore aperto e tenuti in circolazione extracorporea.

Le decisioni del pool

Il gruppo di medici, coordinato dalla dottoressa Francesca Russo, a capo della Direzione regionale Prevenzione, e composto dai primari delle quattro Cardiochirurgie interessate, dai responsabili dei centri di Malattie infettive di Padova, Verona, Treviso, Vicenza e Mestre e dai direttori medici degli ospedali coinvolti, si è riunito in queste ore. E, in base al principio di massima precauzione, ha deciso di richiamare i pazienti con protesi valvolare. Perché considerati quelli ad alto rischio, riservandosi però di valutare l'allertamento anche dei soggetti ai quali è stato installato il bypass, dal 2010 a oggi e considerati, dalla letteratura scientifica, a basso rischio.

Il protocollo condiviso con l'Emilia-Romagna

È stato formulato anche un protocollo congiunto con l'Emilia Romagna, che ha accertato due casi al Salus Hospital di Reggio Emilia. La struttura conferma che all'epoca dei fatti, l'esistenza e la probabilità di esposizione al microbatterio tramite l'utilizzo di questi macchinari non poteva essere conosciuta e un un centinaio di cartelle cliniche relative a pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia nel periodo 2010-2017 e poi deceduti. Anche l'Emilia Romagna ha, infatti, richiamato, con una lettera, tutte le persone operate a cuore aperto in quegli anni.

Le linee guida

Le raccomandazioni, elaborate dalle due Regioni, saranno mandate al ministero della Salute, che le utilizzerà come prototipo. Si starebbe anche pensando a un'azione legale contro l'azienda tedesca, provvedimento già deciso dalla Regione Veneto per il risarcimento danni, e a divulgare una nota, a livello europeo, per mettere in guardia gli ospedali ancora dotati del dispositivo sotto accusa.

Nessuna responsabilità delle aziende sanitarie

Il gruppo di lavoro avrebbe anche esaminato la relazione degli ispettori mandati dall’area Sanità negli ospedali di Vicenza, dove si sono registrati quattro decessi, Treviso e Padova, dove sono morte due persone e Mestre, dopo che il caso è venuto alla luce. Nel dossier è emerso che le aziende sanitarie interessate non hanno alcuna responsabilità. E si legge che le strutture, infatti, "hanno fatto tutto ciò che la ditta produttrice ha consigliato per la pulizia e la sterilizzazione del dispositivo". Istruzioni potenziate a giugno 2015, quando la LivaNova Deutschland GmbH inviò una mail al capo tecnico responsabile della manutenzione della tecnologia all’Usl di Vicenza, per una comunicazione. L'industria tedesca avrebbe scritto: "Bisogna intensificare i lavaggi della macchina con il perossido di idrogeno". L’Usl eseguì e la ditta produttrice, per due volte, a cavallo tra il 2015 e il 2016, mandò tecnici propri a verificare le procedure di sanificazione, non registrando errori.

Macchinario già bandito

Il caso del batterio killer ha coinvolto, negli anni, diversi Paesi. Le prime vittime si sono registrate negli Stati Uniti dove, nel 2015, il macchinario venne eliminato dagli ospedali. Un anno fa, nella Usl vicentina, grazie anche al diario lasciato da un anestesista, a sua volta deceduto a causa del batterio, veniva condotto un esame microbiologico nel serbatoio dell'acqua del dispositivo. Che mostrava la presenza del Mycobacterium Chiamera.

La struttura lo dismise, comunicandolo alle altre Usl che, a loro volta, non lo utilizzarono più. Tutti i macchinari sono stati sostituiti dalla tecnologia stagna della francese Marchet, con l’ordine categorico da parte della Regione di tenerla comunque fuori dalla sala operatoria.

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