Guerra in Ucraina

La Borsa nera dell'Unione

Durante l'ultima guerra i nostri nonni si procuravano il cibo e i beni di stretta necessità alla borsa nera.

La Borsa nera dell'Unione

Durante l'ultima guerra i nostri nonni si procuravano il cibo e i beni di stretta necessità alla borsa nera. A prezzi altissimi perché c'era chi speculava sul conflitto e i bisogni delle persone. Sono passati ottanta anni e di fronte ai processi messi in moto dal conflitto russo-ucraino siamo in presenza di una reiterazione di quei comportamenti. Ovviamente i modi sono più raffinati, ad un livello più alto: qui ci sono di mezzo Stati e pezzi di Finanza; non si parla di cibo, ma di gas, di energia. Alla prova dei fatti, però, la sostanza è sempre la stessa: c'è anche in Europa chi specula sulla guerra, cioè utilizza la strategia di Putin di aprire e chiudere i rubinetti del gas per trarne profitto.

Ieri, per esempio, il prezzo del gas sulla borsa di Amsterdam ha avuto un forte ribasso senza alcun motivo apparente. Come pure gli aumenti che nelle ultime settimane hanno messo a dura prova il tessuto produttivo e industriale del nostro Paese, sono stati talmente alti da non avere una base logica. Insomma, c'è chi specula e moltiplica gli effetti della strategia del Cremlino. E duole dire che due Paesi europei hanno guadagnato oltre modo per queste storture del sistema: l'Olanda che è al centro del mercato del gas e la Norvegia che lo estrae nei suoi giacimenti. Due Paesi che sono stati convinti sostenitori dell'appoggio all'Ucraina e delle sanzioni alla Russia. Nel contempo, però, ora stanno osteggiando ogni ipotesi di «tetto» al prezzo del gas.

C'è una contraddizione palese tra questi due atteggiamenti: da una parte Olanda e Norvegia si schierano contro l'aggressione russa insieme alla Nato e all'Alleanza Atlantica; dall'altra - nella guerra dell'energia, cioè sul teatro decisivo dello scontro con il Cremlino - non offrono garanzie sulle forniture del gas agli alleati ma soprattutto non fanno nulla per evitare i rincari in una fase in cui l'esito del conflitto si gioca tutto sulla scommessa di Putin che l'Europa non reggerà alla chiusura dei rubinetti.

A questo proposito una cosa va detta. In questi mesi Orbán è stato più volte criticato - giustamente - per essersi opposto ad una parte delle sanzioni, ma almeno il premier magiaro lo ha fatto a suo dire per garantire il fabbisogno energetico del suo Paese. Olanda e Norvegia, invece, hanno scelto una politica che finisce per speculare e lucrare sulla guerra e che blocca l'Unione sull'unico strumento efficace per contrastare il ricatto russo, cioè il tetto al costo del gas rilanciato proprio ieri dalla von der Leyen. Privilegiano, quindi, le valutazioni economiche a scapito di quelle politiche.

Lo fanno accampando mille scuse, tirando in ballo il libero mercato. Ma di fronte ad una guerra questi discorsi cadono, perché quando il mercato diventa «nero» - e la speculazione non ha inibizioni politiche - non c'entra nulla con la cultura liberale. E, comunque, non si può chiedere a dei Paesi, primo il nostro, di mettere a repentaglio il proprio sistema produttivo sull'altare dei valori dell'Occidente, mentre altri si approcciano a questi temi concentrando l'attenzione sul profitto. Sono contraddizioni che minano l'unità europea e il suo spirito.

Il problema non è l'Unione, semmai il contrario: l'Unione deve fare l'Unione, richiamando ai loro doveri non solo Orbán, ma anche Paesi che il politicamente corretto descrive come più «atlantisti», ma che nella cruda realtà si dimostrano solo più cinici.

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