Stupidi noi a non averci pensato prima. La migliore ricetta antivirus arriva da Londra e porta la firma del premier inglese Boris Johnson. Si chiama «immunità di gregge» e consiste nel non prendere alcuna precauzione in modo che la popolazione, dopo un numero imprecisato di morti, sviluppi per gli affari suoi gli anticorpi che renderanno immuni eventuali sopravvissuti. Semplice, no? La domanda a cui Johnson non ha ancora risposto, ma sono affari degli inglesi, è se i moribondi in arresto respiratorio verranno lasciati agonizzanti senza assistenza, per strada o in casa, in modo da accelerare il contagio e quindi la formazione delle autodifese personali in chi è loro vicino, o se viceversa intende in qualche modo occuparsene.
Io chiamerei questa ricetta «British coglions», che l'inglese maccheronico a volte rende l'idea meglio di quello accademico e non c'è bisogno di traduzione. Se poi a questo aggiungiamo il fatto che Donald Trump, dopo averci scherzato sopra per settimane, solo nelle ultime ore a epidemia diffusa nel suo Paese è stato punto dal dubbio che in Italia non siamo pazzi e che il virus sia una cosa maledettamente seria, ecco che finalmente capisco in che senso «gli americani sono figli illegittimi degli inglesi»: tale padre, tali figli.
Uscendo dal piano familiare ed entrando in quello politico, l'accoppiata Johnson-Trump sul Coronavirus dimostra anche che essere nazionalisti, populisti e antieuropeisti non è garanzia di maggiore intelligenza. Gli stolti pensiamo a madame Lagarde sull'altro fronte abbondano nei due schieramenti in modo equanime.
Come ci spiega bene oggi Nicola Porro dal suo isolamento (è positivo, ma sta meglio di me), non è che qui le cose funzionino a meraviglia. Ma un conto è una ricetta giusta in mano a persone sbagliate, altro è se le ricette sono farlocche tipo quella di Boris.
Se in Italia comincia (incrociamo le dita) a calare il numero dei morti e a crescere quello dei guariti, significa certo che abbiamo medici straordinari, ma anche che abbiamo imboccato la strada giusta nel modello di gestione dell'emergenza. Che, credetemi, è ancora una volta il modello Lombardia. Regione impegnata su due fronti di lotta: quello medico con il virus e quello politico con il governo centrale, lento e indeciso come sempre.
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