Confessionale addio. Non esistono statistiche precise ma qualunque cattolico praticante dotato di spirito di osservazione se n'era accorto. Massimo Introvigne lo ha denunciato con la sua autorevolezza di sociologo delle religioni: «Il numero di persone che si confessano è da cinquant'anni una freccia verso il basso». Lo studioso torinese è piuttosto allineato con le gerarchie cattoliche per cui tocca a me, mio malgrado leggermente fuori linea, far notare che dunque il declino comincia subito dopo il Concilio Vaticano II, anche se mi guardo bene dall'addebitare l'intera colpa allo spirito dissacrante e banalizzante di quell'ormai remota assise. I padri conciliari assecondarono tendenze già in atto, innanzitutto l'egualitarismo religioso di stile protestante, la superbia di voler abbassare Dio al proprio livello e la voglia di sbarazzarsi dei preti. Disintermediazione, per usare un vocabolo attuale. La crisi dei confessionali somiglia alla crisi delle edicole, delle librerie, dei negozi di dischi, delle agenzie di viaggio, dei partiti: internet fa pensare che sia possibile arrivare direttamente alle informazioni e alle cose, l'autoassoluzione che sia possibile arrivare direttamente a Dio. Parlo di autoassoluzione perché se le confessioni sono crollate le comunioni si sono impennate. Le file per ricevere l'ostia sono sempre più lunghe e allora i fedeli sono tutti senza peccato, oppure, molto più probabile, le colpe vengono lavate in casa, privatamente, nel chiuso ostinato della propria coscienza. «Eppure - dice Introvigne - il Papa ricorda sempre che la confessione è fondamentale per la vita dei cristiani». Ci sarebbe scritto anche nel catechismo, ma chi dà più retta al catechismo. Ci sarebbe scritto anche nel Nuovo Testamento («Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore»), ma chi dà più retta a San Paolo.
Se la diagnosi di Introvigne è indiscutibile, la terapia è opinabile. «Il punto è che esistono bravi confessori ma questi non sono la maggioranza. Occorrono maestri dell'accompagnamento alla vita». Non sono d'accordo: quattro poveri preti cosa possono fare contro il soggettivismo dilagante? «Il cristiano moderno» ha scritto Nicolás Gómez Dávila «non chiede che Dio lo perdoni, ma che ammetta che il peccato non esiste». Me lo confermano i sacerdoti a cui mi sono rivolto: oltre alle confessioni calano le contrizioni. Oggi anche coloro che si avvicinano alla grata sono convinti di essere nel giusto, di non sbagliare mai, e pretendono di essere assolti senza nemmeno pentirsi. Sono pronti perfino ai ricatti. «Mi dicono che se non ricevono l'assoluzione perdono la fede e non vengono più in chiesa», si sfoga un confessore romano.
Fossi un polemista senza scrupoli non mi sarebbe difficile addossare molta parte della responsabilità al lassismo morale e alla confusione dottrinale della Chiesa di Francesco, ma per quanto disallineato al clero sono un uomo religioso e cerco di credere che Papa Bergoglio non c'entri nulla e nulla possa fare contro una deriva epocale. Cerco di credere, ho detto: crederci veramente, nella non responsabilità del Santo Padre, supera le mie modeste capacità.Camillo Langone
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