«Guarda, purtroppo Matteo è capace di tutto. Ce l'ha dimostrato fin troppe volte...». Più che il dato politico e gli inevitabili tatticismi che caratterizzeranno le mosse di Renzi nei mesi a venire, quel che davvero inizia a temere Nicola Zingaretti è il dato psicologico. Come e quanto l'ex premier sia in grado di «sopportare» il fatto di non essere più un Re Mida del consenso. A differenza di quanto si era immaginato, infatti, il suo addio al Pd non ha causato quel terremoto che credeva. Anzi, pare quasi aver compattato l'elettorato di centrosinistra che, stando a un sondaggio del telegiornale di La7, nell'ultima settimana avrebbe premiato i dem facendogli guadagnare un punto secco: dal 19,7% di inizio mese al 20,7% dell'altroieri. Solo due punti in meno rispetto al 22,7% delle Europee di giugno, quando nel Pd c'era ancora Renzi e, soprattutto, quando i dem veleggiavano nelle acque tranquille dell'opposizione e non avevano ancora stretto il patto del diavolo con i Cinque stelle. Numeri che evidentemente non sono la gioia dell'ex premier, come non lo può essere il fatto che la sua Italia viva continua a galleggiare sulla linea di uno striminzito 4%.
Così, il timore è che davvero Renzi stia considerando tra le opzioni possibili quella di stringere un patto con un altro Matteo, questo sì ancora catalizzatore di grandi consensi. D'altra parte, che l'ex premier e Salvini siano in contatto diretto non è un mistero. Come pure il comune interesse affinché si arrivi a una riforma elettorale proporzionale. Non è un caso che in queste ore il leader della Lega stia facendo il possibile per far saltare gli accordi già presi sulle candidature per le imminenti regionali. Se alle prossime politiche si voterà davvero con il proporzionale, infatti, è ancora più nel suo interesse che la Lega si rafforzi in due regioni «pesanti» come la Campania e la Puglia. Mentre è evidente che le candidature di Stefano Caldoro e Raffaele Fitto non farebbero che catalizzare voti su Forza Italia la prima e su Fratelli d'Italia la seconda. Non a caso, è proprio quest'ultima che Salvini gradisce meno, ben consapevole di rischiare in Puglia di essere scavalcato da Giorgia Meloni.
Il punto di caduta di un futuro asse Renzi-Salvini, dunque, potrebbe essere proprio la riforma elettorale. Pur essendo ogni ragionamento rinviato a dopo il referendum del 29 marzo (e forse anche più in là, perché se passa si dovranno poi ridisegnare i collegi elettorali), in caso di elezioni anticipate con il proporzionale Italia viva avrebbe molte chances di arrivare a quella soglia del 5% che non solo gli permetterebbe di entrare in Parlamento ma forse gli consentirebbe anche di diventare centrale nella nascita di un nuovo governo. Un esecutivo non di centrosinistra ma di centrodestra, dove Iv potrebbe essere la quarta gamba di un'alleanza a trazione Lega e Fratelli d'Italia insieme a Forza Italia. Fantapolitica? È possibile. Ma lo era anche che Salvini salutasse bellamente Silvio Berlusconi e la Meloni per fare un governo con Luigi Di Maio, come pure che il Pd e Renzi sostenessero un esecutivo in tandem con l'odiato M5s.
L'obiezione più concreta a questa ipotesi, insomma, non è tanto il fatto che sembri peregrina, quanto piuttosto che ad oggi Renzi ha comunque un ruolo centrale che non necessariamente si potrà ritagliare domani.
Adesso può certamente dire la sua su una quota importante delle prossime nomine e magari nel 2023 avere voce in capitolo nell'elezione del successore di Sergio Mattarella. Dopo una nuova tornata elettorale, chissà. Eppure Zingaretti, questo racconta chi ha avuto occasione di parlarci, non esclude nulla. Perché «purtroppo Matteo è capace di tutto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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