Coronavirus

Le app per "spiare" da remoto: ​cosa succede a chi lavora a casa

Il ricorso allo smart working ha innescato un boom di app per controllare l'efficienza dei dipendenti. Il lato oscuro del lavoro agile

Le app per "spiare" da remoto: ​cosa succede a chi lavora a casa

Se il rischio di trovarsi la polizia in casa per ora è scongiurato, a entrare in casa ora potrebbere essere il datore di lavoro. Sì, perché con la nuova impennata di contagi il ricorso allo smart working, oltre a essere vivamente consigliato nel nuovo Dpcm, resta l'opzione privilegiata da molte aziende italiane. Orario flessibile, possibilità di svolgere le proprie mansioni dal divano di casa, evitare scomode levataccie e pericolosi assembramenti sui mezzi pubblici per raggiungere il proprio posto di lavoro. Cucina, stanza da letto, soggiorno, bagno: non c'è differenza, ogni spazio può andar bene. Basta un pc e una connessione a internet. Insomma, una manna per i pendolari, ma anche per le imprese in termini di abbattimento dei costi di gestione.

Lo smart working sembrerebbe una soluzione paradisiaca estendibile anche all'era post Covid. Ma il lavoro agile nasconde anche un lato oscuro. Lo sa bene il 42% dei lavoratori statunitensi che sta lavorando da casa. L'uso massiccio del lavoro da remoto - racconta Salon - si è tradotto in un incremento delle misure di sorveglianza digitale da parte delle aziende. Sono sempre di più i datori di lavoro che chiedono ai propri dipendenti di scaricare app dedicate su laptop e smartphone, per controllare la loro efficienza giornaliera. Ma anche in Italia, dove lo Statuto dei lavoratori vieterebbe la sorveglianza senza previo consenso del dipendente, grazie a un cavillo legale non siamo molto lontani.

Il Grande Fratello in versione smart

Le pagine web visitate, le email, i trasferimenti di file, le applicazioni utilizzate, persino i movimenti del mouse e la pressione sui tasti della tastiera. Nel mirino delle app che monitorano il lavoratore non c'è solo il suo livello di produttività. Ci sono anche software come TSheets, che una volta scaricato sullo smartphone permetterà al datore di lavoro di geolocalizzare i dipendenti in ogni istante. Esistono poi servizi — come Time Doctor — che usano la webcam del pc per scattare delle foto ogni 10 minuti come prova della presenza. Ma alla distopia smart non c'è limite. Un lavoratore ha raccontato a Npr cosa succede se rimane inattivo per alcuni minuti, va in bagno o in cucina. Appare un un popup che dice: "Hai 60 secondi per ricominciare a lavorare o metteremo in pausa il tuo tempo”. Anche InterGuard, riporta Washington Post, non è di certo meno inquietante. L'app, installata segretamente sui computer dei dipendenti, crea una linea temporale, minuto per minuto, di tutte le app e le pagine visitate durante la giornata lavorativa, catalogandole come produttive o improduttive. Poi, InterGuard, diabolica, stila anche una classifica dei lavoratori in base al loro punteggio di produttività.

Il lato oscuro dello smart working che sfrutta il Jobs Act

Negli Usa, anche se i lavoratori hanno cominciato alamentarsi, la pratica di sorveglianza è legale e, non i tutti gli Stati, è previsto che l’azienda informi il dipendente del monitoraggio nei suoi confronti. In Italia, lo Statuto dei lavoratori vieta software aziendali di verifica della navigazione in internet o webcam per capire se il lavoratore è collegato al pc o sta facendo altro. Ma secondo l’azienda investigativa comasca Reserv investigazioni la soluzione è il Jobs Act (Dlgs n. 151/2015) a consentire un margine di intervento agli 007 a caccia dei “furbetti” dello smart working. Infatti, il monitoraggio può essere mirato su smartphone e pc aziendali sui quali il lavoratore non può avere pretese di privacy dato l’uso non consentito per fini personali. L’utilità delle aziende investigative non si esaurisce al lavoro agile da divano. "Dopo il lockdown con la riapertura delle attività – spiega Davide Centurioni di Emissarius Investigazioni private – è necessario monitorare il rispetto delle disposizioni di distanziamento e l’uso dei dispositivi di protezione da parte dei lavoratori all'esterno ( perché lo Statuto vieta forme di controllo sul posto di lavoro)". In Zurich, invece, a garantire in ogni momento il corretto distanziamento ci pensa un algoritmo che assegna le scrivanie. Prima di sedersi alla propria postazione prenotata via app, il lavoratore deve fare check in, inquadrando il QR-Code applicato sulla scrivania. Stessa cosa per il check out all'uscita.

Webcam per monitorare la produttività dei lavoratori da remoto, sistemi di sorveglianza sul rispetto delle misure anticontagio e badge che suona e si illumina ogni volta che due persone che lo indossano si trovano a una distanza inferiore a 1,5 metri: più che l'inizio della nuova era dell'agio applicato al lavoro, sembra l'alba di un incubo senza via d'uscita.

Una sorta di nuovo Grande Fratello dove ogni residuo di privacy va in frantumi.

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