Cronache

Caso Gucci, tra gogna mediatica e distorsioni della verità

Il caso Gucci, vale a dire l’uccisione, il 27 marzo 1995, di Maurizio Gucci, patron della casa d’alta moda, è una ferita ancora aperta per molti. Come stanno davvero le cose

Caso Gucci, tra gogna mediatica e distorsioni della verità

Il ruolo dell’informazione nei casi di cronaca nera e di cronaca giudiziaria è delicatissimo. Il diritto-dovere di raccontare la verità dei fatti non deve mai travalicare il limite della dignità delle persone coinvolte. L’applicazione del parametro dell’essenzialità deve ispirare il lavoro del giornalista nella selezione dei particolari da riportare nella narrazione, al fine di renderla bilanciata e rispettosa di tutti i diritti, non solo di quello all’informazione. Questa considerazione suggerisce di rileggere con occhio critico e, se possibile, di riscrivere con equilibrio, serenità e pacatezza pagine cruciali della storia del nostro Paese, anche per risparmiare alle nuove generazioni una loro rappresentazione falsata e fuorviante.

Caso Gucci, una ferita ancora aperta

Il caso Gucci, vale a dire l’uccisione, il 27 marzo 1995, di Maurizio Gucci, patron della casa d’alta moda, è una ferita ancora aperta per molti. Se le ricostruzioni ufficiali appaiono fedelmente riproduttive degli esiti processuali, con l’individuazione dell’esecutore materiale (Benedetto Ceraulo) e l’identificazione della ex moglie Patrizia Reggiani quale mandante dell’omicidio, gli strascichi mediatici della vicenda allungano le loro propaggini fino ai giorni nostri. Sicuramente la morte del padre è una ferita ancora aperta per le sue due figlie, Allegra e Alessandra. La prima ha deciso di dire la sua in un libro uscito in settimana e dal significativo titolo “Fine dei giochi” (ed.Piemme). Potrà stupire che ben 27 anni dopo Allegra abbia sentito il bisogno di far quadrare il puzzle della intricata vicenda, ma a spingerla verso il terreno editoriale ha certamente contribuito la speculazione mediatica della quale l’intera famiglia Gucci è stata vittima per anni e che è culminata nel recentissimo film House Of Gucci, di Ridley Scott.

Un film discutibile, un libro chiarificatore

Con un dolore misto a senso di liberazione, Allegra, figlia di un padre assassinato e di una moglie incarcerata, ha messo nero su bianco le sue riflessioni sulla morte del padre, avvenuta quando lei aveva solo 14 anni, e lo ha fatto anche in prospettiva, affinchè i suoi figli piccoli possano un giorno apprendere i dettagli della tragedia del nonno con una chiara percezione dei contorni e delle responsabilità. A detta di Allegra, il film House of Gucci si basa su una ricostruzione approssimativa e ampiamente imprecisa della controversa vicenda e fornisce un’immagine inattendibile di Maurizio Gucci, <descritto come un debole, un viziato, mentre Papà era luminoso, un grande lavoratore>.

Doveroso l’oblio sulle foto del corpo della vittima

Ma ora, nella vicenda Gucci, per ristabilire il dominio della verità dei fatti e provare a ribilanciare i rapporti di forza tra riservatezza dei protagonisti e morbosità mediatica, sarebbe opportuno inaugurare la stagione dell’oblio su alcuni particolari macabri. Uno su tutti: la foto che ritrae il volto insanguinato di Maurizio Gucci nell’androne di casa e che continua ad essere facilmente reperibile negli archivi web dei principali quotidiani italiani e nei motori di ricerca generalisti. Nel 1995, anno dell’omicidio, la sensibilità deontologica dei giornalisti era decisamente meno spiccata di oggi, non c’era ancora il codice deontologico per la privacy, che raccomanda al mondo dell’informazione una protezione rafforzata per i soggetti deboli e le vittime di violenza. Inoltre non esisteva all’epoca la perenne rintracciabilità di contenuti virali attraverso la Rete.

Per rispettare la dignità della memoria di un uomo che non c’è più e per preservare i suoi nipotini dall’impatto traumatico che un giorno potrebbe avere su di essi la visione di quelle immagini, è doveroso renderle inaccessibili nello spazio virtuale, non essendo in alcun modo funzionali alla completezza del racconto.

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