Contrordine: dopo aver alimentato il giallo dei gialli per anni e anni, la procura di Roma innesta la retromarcia e annuncia che con ogni probabilità la tomba di Enrico De Pedis, il boss della Magliana sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, non verrà aperta. Deposto lo scandaglio della dietrologia il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo vira verso i fatti e i fatti dicono che lo studio del sarcofago non aiuterebbe di una virgola gli investigatori che da quasi trent’anni, dal giugno 1983, brancolano nelle tenebre terribili della sparizione di Emanuela Orlandi. In compenso, da una suggestione all’altra, i pm della capitale buttano per l’ennesima volta la palla vero il Cupolone e fanno filtrare il loro pensiero: in Vaticano qualcuno sa. In Vaticano c’è chi sa perfettamente perchè fu rapita Emanuela Orlandi e quale fu la sua fine. Insomma l’impotenza genera impressioni e sensazioni che rialimentano la misteriologia in un circolo vizioso senza fine.
La realtà è purtroppo molto modesta: sono emersi, dalla riapertura del fascicolo nel 2009, «segmenti di verità giudiziaria», come li chiama Capaldo, ma da qui a sostenere un processo ce ne passa. Con ogni probabilità, cancellata l’ispezione funeraria, l’inchiesta si arrende sulla soglia della cripta e si avvia mestamente verso il binario morto dell’archiviazione.
Per carità, il fascicolo ha lambito la banda della Magliana e nel registro degli indagati sono finiti alcuni personaggi usciti dalle pagine di Romanzo criminale: Sergio Virtù, Angelo Cassani detto Ciletto, Gianfranco Cerboni alias Gigetto. Ma non si è mai arrivati a conclusioni certe, anche perchè le dichiarazioni della presunta pentita di questa storia, Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano e poi amante di De Pedis, si sono rivelate fumose, contraddittorie, ballerine. Un guazzabuglio. La Magliana probabilmente gestì il rapimento, forse la prigione era a Monteverde Vecchio, ma troppi elementi vacillano, non sono chiari, si sono intorbidati col passare del tempo. La ricognizione sotterranea aggiungerebbe solo un elemento morboso ad una storia già troppo sceneggiata. Fu una telefonata al programma «Chi l’ha visto?», nel settembre 2005, ad accendere le speranze: qualcuno spiegò che per risolvere il caso Orlandi bisognava «vedere chi è sepolto nella cripta della basilica». Si arrivò a De Pedis, freddato il 2 febbraio ’90 e incredibilmente tumulato nella chiesa grazie al via libera dell’allora arcivescovo vicario di Roma Ugo Poletti. Una perizia attribuì quella chiamata a Carlo Alberto De Tomasi, figlio di Sergione, altro personaggio legato alla solita Magliana. Ma l’identificazione è sempre stata sfocata, e tutte le trame seguite, anche quella che vorrebbe i resti della ragazza mescolati a quelli del boss, non sono approdate a nulla. E possono andare bene per una fiction, non per un’aula. Nei giorni scorsi, poi, la pantomima finale con il balletto dei distinguo sulla tomba e sulla basilica: il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri aveva sostenuto che la chiesa è in territorio vaticano, salvo poi scoprire che è in Italia.
Ciascuno può tenersi le proprie convinzioni, nel solito carosello delle brume italiane. Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, cerca una chiusa degna ad un dramma senza fine: «La posizione dei pm è importantissima. Ora mi aspetto una risposta dal Vaticano: questo silenzio sta diventando imbarazzante».
Ma Orlandi è il primo a dover registrare lo stop: «Mi stupisce perchè prima le intenzioni erano diverse, ma non ho mai pensato che lì ci fosse il corpo di Emanuela». Del resto è l’aritmetica a condannare gli accostamenti: De Pedis fu abbattuto sette anni dopo la scomparsa di Emanuela. Troppi pure per un romanzo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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