Cavoli a merenda

La gratitudine non è certo una categoria della politica. La trasparenza, invece, è una qualità della politica. Eccome

Cavoli a merenda

La gratitudine non è certo una categoria della politica. Gianfranco Fini, che Silvio Berlusconi tirò fuori dall'emarginazione (un tempo si diceva in maniera diversa), fu adescato, con il miraggio di Palazzo Chigi, da Giorgio Napolitano per mandare a casa l'ultimo governo del Cav. La trasparenza, invece, è una qualità della politica. Eccome. Nel rapporto con gli altri partiti e, ancor di più, con gli alleati. Ebbene, affermare, come ieri Giorgia Meloni, che Berlusconi ha fatto un passo indietro rispetto al Quirinale solo perché, per responsabilità, ha accettato l'idea di Enrico Letta di mettere in piedi un tavolo della maggioranza che sostiene il governo, è senza senso. C'entra come i cavoli a merenda. Oppure, peggio, è un espediente per dire di «no» alla candidatura del Cavaliere senza assumersene la responsabilità.

Ora per la leader di Fratelli d'Italia si pone un problema di chiarezza. L'addio ai sovranisti e alla destra di Le Pen e, contemporaneamente, questa strana posizione sul Quirinale in un dibattito con il segretario del Pd hanno tutta l'aria di essere un tentativo di legittimazione, magari in un disegno neppure tanto coperto, per sostituire Forza Italia. Un'operazione politicista che in altre occasioni ha portato altri protagonisti a scambiare i miraggi per la realtà. E la realtà è che, appena un mese fa, il Pd di Letta, insieme a tutta la sinistra, alla vigilia delle elezioni amministrative, ha scatenato contro il partito della Meloni, prendendo a pretesto il caso di Carlo Fidanza, tutto l'armamentario di un tempo, a cominciare dal pericolo della destra fascista, razzista, gli ha rinfacciato di non aver fatto pulizia dentro il partito e di non aver messo in soffitta la Fiamma del Msi. Insomma, chi più ne ha più ne metta. Questi sono gli interlocutori che la Meloni si è scelta per legittimarsi.

Ecco perché la leader di Fratelli d'Italia deve dire una parola chiara sul Quirinale agli alleati e, soprattutto, se ha intenzione di giocare la partita insieme a tutto il centrodestra. Anche perché se così non fosse, se di fronte ad un appuntamento così decisivo il centrodestra si presentasse diviso, magari perché qualcuno coltiva il progetto di portare Draghi al Colle per avere le elezioni anticipate a giugno, allora tanto vale, lo abbiamo scritto ieri, archiviare da subito questa esperienza, con tutte le conseguenze.

Ora è probabile che ci sia stato un fraintendimento, ma è anche vero che, facendo della competizione interna il proprio Vangelo, inseguendo sogni di gloria, magari prematuri, e inventandosi candidature improbabili, il centrodestra ha gettato alle ortiche la possibilità di competere per il governo di città come Roma e Milano. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

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