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Il centrosinistra spinge, Mattarella frena. Le condizioni per il bis

Con la riconferma, Draghi resterebbe a Palazzo Chigi con la legislatura a scadenza naturale nel 2023. Ma non sarebbe un mandato a termine, al contrario di Napolitano

Il centrosinistra spinge, Mattarella frena. Le condizioni per il bis

Il precampionato è ormai iniziato. E gli allenatori, non lo ammetteranno mai, sono già alle prese con la cosiddetta match analysis. Stando ai sacri testi in uso a Coverciano, nel tennis servono almeno 100 punti per vincere una partita, nel basket ci vogliono 50-60 canestri, mentre nella pallavolo sono necessari circa 75 punti. Nel calcio, invece, è sufficiente mettere a segno un solo gol per vincere. Il che, fanno giustamente presente nei corsi per allenatore del Centro tecnico della Figc, significa che pur non giocando bene si può arrivare ad ottimizzare al massimo il risultato. Discorso decisamente opposto per la sfida del Quirinale, dove un punto - pardon, un voto - serve davvero a poco.

Nonostante la vulgata continui a parlare di febbraio - scadenza avallata nelle dichiarazioni pubbliche da molti dei leader coinvolti nella partita - in verità le squadre scenderanno in campo a inizio gennaio. Stando all'articolo 85 della Costituzione, per la precisione, prima dell'Epifania, visto che il presidente della Camera deve convocare «in seduta comune» il Parlamento e i delegati regionali «per eleggere» il nuovo capo dello Stato esattamente «trenta giorni prima che scada il termine» del mandato di Sergio Mattarella (che ha giurato il 3 febbraio 2015). Sarà allora che si apriranno le danze. E, a differenza di quanto accade nel calcio, un punto non basterà. Su 1.009 grandi elettori - 630 deputati, 315 senatori più 6 a vita e 58 delegati regionali - serviranno almeno 505 voti per eleggere il nuovo presidente. E questo dalla quarta votazione in poi, quando sarà richiesta la maggioranza assoluta. Nei primi tre scrutini, infatti, è necessaria la maggioranza di due terzi del collegio elettorale, cioè 673 voti. Ma solo Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi sono stati eletti nel corso delle prime tre votazioni, entrambi - uno nel 1985, l'altro nel 1999 - alla prima.

Volendo provare a schematizzare al massimo e rimanendo fedeli al paragone calcistico, per la partita del Colle si può ipotizzare una tripla. Una sorta di 1-X-2 del Quirinale. Sono tre, infatti, i possibili scenari in campo. I primi due sono strettamente legati ai nomi di Mattarella e Mario Draghi. E sulla loro evoluzione pesa in maniera decisa un presupposto in verità imponderabile, perché dipende quasi esclusivamente dalle personali aspirazioni dei diretti interessati. Se l'attuale capo dello Stato o l'attuale premier fossero infatti disponibili o intenzionati a restare o andare al Colle, la partita potrebbe essere in buona sostanza già tracciata. Così non fosse, invece, si aprirebbe la via al terzo scenario ed entrerebbero in campo gli outsider. «Solo se e quando saranno superate le due ipotesi principali, cioè Mattarella e Draghi, potranno entrare in scena altre soluzioni», ha più volte ripetuto in privato un Pier Ferdinando Casini che segue la questione con particolare attenzione.

Il primo scenario, dunque, è quello di un possibile bis. Circostanza che, va detto, il diretto interessato ha negato a più riprese e in maniera esplicita. A febbraio, in occasione dei 130 anni dalla nascita di Antonio Segni, arrivò persino a fare un riferimento per nulla casuale alla «convinzione» dell'ex capo dello Stato secondo cui sarebbe «opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica». Insomma, un deciso no a qualunque ipotesi di bis.

Fatta questa necessaria premessa, è evidente - lo racconta non solo lo scenario italiano, ma anche quello internazionale - che l'ipotesi di un secondo giro è in campo. Due le ragioni principali. La prima è squisitamente politica. La permanenza di Mattarella al Colle, infatti, rafforzerebbe l'asse tra Quirinale e Palazzo Chigi, stabilizzerebbe il quadro e sarebbe una garanzia per l'Ue, che ha investito i soldi del Recovery plan anche in nome del tandem Draghi-Mattarella. Un nuovo inquilino al Quirinale, infatti, potrebbe non essere considerato dall'ex numero uno della Bce un «garante» della sua leadership come invece lo è Mattarella. Che, in questo frangente di crisi internazionale, ha anche un canale privilegiato con l'amministrazione americana. In particolare con Joe Biden, visto che i due hanno buoni rapporti da tempo, da quando si incrociavano decenni fa alle assemblee della Nato. La seconda ragione è la riforma del taglio dei parlamentari che entrerà in vigore con la prossima legislatura, cioè nel 2023. Con la Camera che passerà da 630 a 400 deputati e il Senato da 315 a 200 senatori. E quindi con un deciso stravolgimento del collegio elettorale presidenziale. Tradotto in soldoni: la riconferma di Mattarella farebbe venir meno - o comunque attenuerebbe di molto - le inevitabili obiezioni di chi è pronto a mettere in discussione un capo dello Stato eletto con un collegio elettorale che tempo un anno sarà obsoleto.

Ma se nell'entourage dell'attuale capo dello Stato vedono di buon grado l'ipotesi di un bis, il diretto interessato continua a non manifestare entusiasmo per una simile soluzione. La sua principale preoccupazione, assicura chi ha occasione di sentirlo, è infatti quella di chiudere la sua esperienza al Colle senza incidenti e lasciando, per così dire, un buon ricordo. Certamente non in un clima divisivo, che rischierebbe di crearsi un domani davanti al pressing dei partiti in attesa delle sue dimissioni. In caso di bis, infatti, Mattarella ovviamente non contempla l'ipotesi di un incarico per così dire a termine, che peraltro non esiste in Costituzione. Quella di Giorgio Napolitano di dimettersi, infatti, fu una scelta. Legittima, ma pur sempre una scelta. Solo sua e non certo dettata da un accordo siglato quando nel 2013 fu rieletto.

La strada del bis ha poi una controindicazione. Nonostante la popolarità di cui gode Mattarella presso gli italiani e la stima che gli riconoscono tutti i leader politici, è infatti il centrosinistra ad essere più propenso ad una sua rielezione. Per una serie di ragioni complesse, a partire dal fatto che un bis di Mattarella chiuderebbe la strada del Colle a Draghi. Il che significa escludere di fatto la possibilità di elezioni anticipate (che, per motivi diversi, certamente interessano a Giuseppe Conte e Giorgia Meloni). Ma potrebbe anche pesare il rapporto - mai facile - con Matteo Salvini. Solo tre giorni fa, per dire, il capo dello Stato non ha avuto esitazioni a strigliare i cosiddetti sovranisti sull'accoglienza dei profughi che arriveranno dall'Afghanistan. Una stoccata rivolta a Lega e Fdi. Anche in caso di impasse, dunque, potrebbe alla fine mancare un'ampia convergenza sul nome di Mattarella. Che - al netto delle sue personali perplessità - per il bis pone giustamente come condizione quella di un consenso larghissimo.

Come accadde peraltro con Napolitano, che nel 2013 al sesto scrutinio prese 738 voti (il 73% del collegio elettorale) e superò largamente anche la soglia della maggioranza qualificata dei due terzi.

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