Chi è il primo medico britannico che ha collegato le trombosi al vaccino

Marie Scully individuò il legame tra i trombi e il siero anti-Covid, fornendo anche la giusta soluzione per il trattamento

Chi è il primo medico britannico che ha collegato le trombosi al vaccino

Un coagulo anomalo in una donna di soli 30 anni, una trasfusione che non porta a niente e il vaccino anti-Covid somministrato pochi giorni prima. Così, l'ematologa Marie Scully ha scoperto per prima il legame tra i rari casi si trombosi e il vaccino AstraZeneca.

La professoressa Scully lavora per l'University Collage Hospital di Londra, dove è stata nominata conculente nel 2007. Tra le sue varie specialità, si contanto anche la trasfusione sanguigna e la conoscenza delle malattie del sangue, ma di rilievo è anche l'interesse per l'emostasi e la trombosi. Così, quando la dottoressa si è trovata di fronte una giovane donna di 30 anni con coaguli di sangue nel cervello ha capito subito che qualcosa non andava: "Non aveva senso", ha raccontato la professoressa Scully al Guardian. Non c'era nessuna ragione, infatti, che potesse spiegare quei trombi in una giovane donna. È iniziata così la difficile strada del medico-detective, che per prima arrivò alla conclusione di un legame tra questi rari eventi trombotici e il vaccino AstraZeneca, che è stato definitivamente bloccato in Danimarca.

Quando Marie Scully ricoverò la giovane donna, a inizio marzo, questa lamentava un forte mal di testa, vomito e intolleranza alla luce. Inizialmente, alla paziente venne applicato il trattamento standard, che consiste in una trasfusione di piastrine e nella somministrazione di alcuni farmaci utili a fluidificare il sangue. Ma, dopo una parvenza di miglioramento, le cose peggiorarono: la conta piastrinica non aumentava e altri coaguli furono trovati nell'addome, nel fegato e nei polmoni. Così, la settimana successiva, la donna finì in terapia intensiva. Fu allora che la Scully trovò la soluzione. L'evolversi della malattia, ricorda il Guardian, faceva infatti pensare a una trombocitopenia indotta dall'eparina, cioè una reazione provocata dall'eparina e dal fattore piastrinico Pf4, che stimolano il sistema immunitario a produrre trombi. Alla donna, però, non era stata somministrata l'eparina. Intanto, casi simili si erano verificati a Birningham e a Londra. A quel punto, la dottoressa britannica pensò di far fare alla sua paziente 30enne e agli altri con la stessa problematica il test per l'eparina: l'esam rivelò livelli elevati di eparia e del fattore Pf4. I tre pazienti con trombosi avevano una sola cosa in comune: erano stati vaccinati con AstraZeneca pochi giorni prima. Per questo, il team dell'University Collage Hospital di Londra avvisò tutti gli altri ospedali in caso si trovassero a dover affrontare pazienti simili: niente trasfusioni di piastrine e niente eparina, per evitare la produzione di Pf4 e generare la risposta immunitaria dannosa, e somministrazione di anticoagulanti.

La scoperta portò il vaccino AstraZeneca al centro del dibattito scientifico e, dopo la segnalazione di diversi medici tedeschi, l'Agenzia europea del farmaco (Ema) esaminò le prove a sostegno del legame tra il siero e le trombosi.

"La combinazione segnalata di coaguli di sangue e piastrine molte basse è rara - conclusero gli esperti - mentre i benefici complessivi del vaccino nella prevenzione del Covid-19 superano il rischio degli effetti collaterali". L'Agenzia aveva anche sottolineato la rarità di questi eventi, ma la scoperta della dottoressa Scully ha portato a diagnosi più rapide e sicure e a un trattamento adeguato in casi di trombi di questo tipo.

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