Chi si vuol intestare l'"agenda Draghi"

La corsa dei partiti della maggioranza ad intestarsi la cosiddetta "agenda Draghi" è iniziata ancora prima che il governo giurasse

Il premier Mario Draghi
Il premier Mario Draghi

La corsa dei partiti della maggioranza ad intestarsi la cosiddetta «agenda Draghi» è iniziata ancora prima che il governo giurasse. Tutti, nel centrodestra e nel centrosinistra, non hanno infatti perso occasione in questi mesi per intestarsi questo o quel provvedimento, che fosse il decreto sulle riaperture o i singoli temi del Recovery plan. Lasciando ovviamente intendere di aver di volta in volta avuto un ruolo nelle decisioni del premier, magari non convincendolo ma - chissà - condizionandolo. Questo, almeno, è stato il non detto di molte delle dichiarazioni pubbliche dei leader che sostengono la maggioranza, da Matteo Salvini fino ad Enrico Letta.

Draghi, ovviamente, non è sordo alle richieste della politica. Ma certo non pare neanche così disponibile a farsi trascinare da una parte o dall'altra a secondo dei desiderata e delle comprensibili ragioni propagandistiche che spingono i partiti in una direzione piuttosto che in un'altra. Un assaggio, per dire, l'ha dato quando ha buttato giù la lista dei ministri, disattendendo - in alcuni casi completamente, in altri solo in parte - tutte le indicazioni arrivate dai partiti che sostengono il governo.

Quello che ci si inizia a chiedere nei corridoi di Camera e Senato, però, è quanto durerà questo armistizio di fatto che ha sostanzialmente sospeso le ostilità tra partiti e schieramenti politici che hanno posizioni spesso distantissime. Certo, ci sono stati gli strappi della Lega sulle riaperture, come pure il botta e risposta tra Letta e Salvini (in verità, più ad uso interno che rivolto al premier) o le tensioni sul ddl Zan. Tutte situazioni che non hanno messo di buon umore Draghi, ma che sono lontane anni luce da quello che potrebbe davvero provocare la miscela esplosiva dei partiti che compongono la maggioranza. Ma per quanto ancora reggerà questa sorta di pax draghiana?

L'ordine delle cose che ha permesso all'ex numero uno della Bce di muoversi sostanzialmente con un certo agio e dedicarsi quasi a tempo pieno ai dossier chiave - piano vaccinale e Recovery plan - potrebbe infatti cambiare nel giro di qualche mese. Questo, almeno, lascerebbe presagire il timing dei prossimi appuntamenti della politica. Il primo passaggio fondamentale è in agenda il 3 agosto, quando si aprirà il semestre bianco. Non che nei fatti la finestra elettorale non sia già chiusa, ma psicologicamente rischia di diventare uno spartiacque tra la navigazione relativamente tranquilla di queste settimane e le tensioni dei mesi a venire. A quel punto, infatti, anche i singoli peones si sentiranno liberi di dire la qualunque. Il rischio del «liberi tutti», insomma, è concreto. Anche perché si andrà verso l'appuntamento delle amministrative, con una inevitabile crescita di tensioni e polemiche. Tra il 15 settembre e il 15 ottobre si voterà infatti in città chiave - Bologna, Milano, Napoli, Roma e Torino su tutte - ed è nelle cose che la campagna elettorale si accenda. Anche perché la partita avrà un suo peso, sia nel Pd (rispetto al nuovo corso della segretaria Letta) che nel centrodestra (dove continua senza esclusione di colpi la corsa alla leadership tra Salvini e una Giorgia Meloni sempre più in crescita nei sondaggi). Insomma, sarà un passaggio difficilmente indolore per gli equilibri che tengono insieme la maggioranza che sostiene il governo. Che alla fine, probabilmente, resisterà all'urto solo perché a febbraio del prossimo anno va in scena quello che è certamente l'appuntamento più atteso di tutti con l'elezione del successore di Sergio Mattarella. Un rebus, quello del Quirinale, su cui i partiti della maggioranza hanno sensibilità diverse, se non opposte.

Anche perché, banalmente, spingere Draghi sul Colle significherebbe quasi certamente tornare alle urne (come vorrebbe Salvini, ma anche la Meloni), mentre individuare un candidato alternativo allungherebbe la vita del governo fino a fine legislatura nel 2023 (come vorrebbero Pd e M5s).

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