Ormai non passa giorno senza che dal mondo della produzione e dei consumi giungano segnali e dati allarmanti. L'euforia per la crescita del Pil del 2021, che presto sarà confermata intorno a quota +6,2%, ha lasciato spazio alla crescita dei costi dell'energia e delle materie prime, che stanno spingendo alle stelle l'inflazione. Ieri sono arrivati due nuovi numeri. Il primo riguarda i consumi. Nei dati Istat sulle vendite al dettaglio aggiornati al novembre scorso balza all'occhio la riduzione delle vendite dei prodotti alimentari dello 0,9% in valore e dell'1,2% in volume. Un dato congiunturale che, come hanno sottolineato diversi osservatori del settore, «indica che le famiglie hanno ridotto la spesa per beni indispensabili come il cibo». Il tema è quello dei prezzi e della spirale tipica delle fasi inflazionistiche, che generano nuova inflazione attraverso le aspettative di ulteriori rialzi. Certo, non siamo negli ultimi decenni del secolo scorso, quando l'inflazione galoppava a due cifre; ma le dinamiche comportamentali sono fondamentali in economia e seguono modelli consolidati. D'altra parte l'inflazione non arriva dal cielo, ma dai costi crescenti della catena della distribuzione, che fa i conti con trasporti e logistica. E qui arriviamo al secondo dato di ieri: l'allarme lanciato da Confindustria è del vicepresidente delegato per le piccole e medie imprese, Maurizio Marchesini, che ha quantificato in 37 miliardi «il costo dell'energia per le imprese» nel 2022. È il valore aggregato della bolletta energetica che le imprese italiane dovranno sobbarcarsi quest'anno. Ed è quasi il doppio dei 20 miliardi di spese energetiche sostenute nel 2021. Mentre lo stesso calcolo, prima del Covid, si fermava ben più sotto, a quota 8 miliardi. «Il governo agisca subito - ha detto Marchesini -, è una tempesta perfetta». A rischio ci sono le filiere della nostra manifattura, appena confermatasi al secondo posto in Europa, dietro alla sola Germania, ma con eccellenze mondiali nell'export che spesso ci vede primeggiare in numerosi settori o essere secondi dietro a colossi come Cina e India. Il punto è che il governo non può continuare a ignorare che da questi temi dipende il presente e il futuro prossimo delle famiglie e delle imprese italiane. Non esattamente un problema secondario, ma la priorità assoluta dopo la pandemia. E purtroppo - lo ripetiamo da qualche mese - la corsa al Colle ha invece assorbito ogni energia politica, ponendo come priorità nazionale un tema che non lo è affatto. Per questo ci pare che non si possa prescindere da Mario Draghi, la personalità più adatta a guidare un governo forte in Italia e in Europa, a maggior ragione adesso che i problemi che abbiamo di fronte riguardano il benessere di una nazione, ancor più di quanto non fosse un anno fa. Servono scelte di governo sulla politica energetica che l'Italia intende adottare per i prossimi 10 anni della «transizione». Scelte che dipendono anche dai rapporti di forza da stabilire in Europa - con la Germania che spinge sul gas russo e la Francia che può contare su nucleare - e fuori dall'Europa, con Cina e Russia che stanno approfittando della crisi energetica per guadagnare spazi competitivi.
In altri termini, serve un esecutivo sia politicamente forte, sia autorevole sulla scena internazionale. Insomma, è l'identikit dell'esecutivo Draghi come ce lo hanno presentato sempre. E come deve tornare a essere il prima possibile.
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