Coronavirus

Il sospetto della Capua: "Perché non pubblicano le sequenze del virus...?"

Intervistata da Giovanni Floris a “Di Martedì”, la virologa parla della futura convivenza con il virus e propone di ripartire con un test sierologico su scala nazionale, così da avere un chiaro quadro della situazione. Poi l'appello: “Ho controllato: ci sono 10mila sequenze, di cui 40 italiane. Come mai queste sequenze italiane non si pubblicano?”

Il sospetto della Capua: "Perché non pubblicano le sequenze del virus...?"

Intervenuta ieri sera alla trasmissione “Di Martedì” su La7, la famosa virologa Ilaria Capua torna a parlare di Coronavirus, e lancia un importante quesito: perché gli studi sulle sequenze italiane del virus non sono state ancora pubblicate? Un interrogativo che preoccupa, quello della scienziata, e che fa sorgere dei sospetti.

Intervistata da Giovanni Floris, la Capua è stata per prima cosa chiamata ad esprimere un parere sulla tanto attesa ripartenza del Paese, previsto per il prossimo 4 maggio. “Mi sembra che stiamo andando meglio”, commenta la virologa, osservando i dati attuali sul Covid-19 in Italia. “Sono dati incoraggianti, quindi le misure di sanità pubblica che sono state messe in pratica stanno funzionando. Questo è merito di tutti gli italiani, ai quali voglio dire grazie”. E sulla cosiddetta Fase 2? “Siamo un po' in ritardo, secondo me”, continua la Capua. “Non abbiamo un'idea chiara di come l'infezione si sia diffusa in Italia. È chiaro che questa è una malattia multifattoriale, dipende da tanti fattori. Dipende dall'inquinamento, o dalla rete dei trasporti (dove si fa maggior uso di mezzi di trasporto, ci si ammala di più). Manca capire come è realmente messo il Paese, quindi. Non è detto che l'Italia si trovi ovunque nelle medesime condizioni”.

Poi la conversazione si sposta sull'importanza delle figure preposte a guidare la nazione in questo periodo di emergenza. “Non si può parlare una lingua sola, non può esserci solo il 'politichese' o lo 'scientifico stretto'. Le decisioni devono essere prese in collaborazione. Bisogna prima di tutto ascoltare le ragioni della salute, poi quelle dell'economia, del tessuto sociale e delle altre determinanti che ci porteranno verso la nuova normalità”.

E come arrivare a questa ripartenza? “Prima di tutto capire quanti italiani sono entrati in contatto col Coronavirus. Quindi un test sierologico rappresentativo su base nazionale. Un test che sarebbe opportuno ripetere dopo una ventina di giorni, così da avere un senso della dinamica della diffusione. Questo perché purtroppo i dati che abbiamo in questo momento, essendo stati raccolti ognuno in modo diverso, con test diversi, non danno un chiaro quadro di ciò che sta succedendo”, spiega la dottoressa. “Altro importante punto di svolta sarà quello di riavere gli ospedali in piena funzione. Alcuni sono stati messi sotto grandissimo sforzo, ma ci sono tanti pazienti che hanno bisogno di ricevere cure anche per altre patologie. Quindi, per prima cosa, bisogna fare un test sierologico per la ricerca di anticorpi. Deve essere un esame riconosciuto, validato e che dia realmente le informazioni di cui abbiamo bisogno. Il tampone ci dice soltanto se il paziente è infetto nel momento stesso in cui viene effettuato l'esame, non dà un quadro completo. Non può dirmi, ad esempio, se la persona si è infettata un mese prima. Questo virus”, continua la Capua, “è un virus completamente nuovo. Non sappiamo come si comporterà, come si evolverà. Ci sono Coronavirus propri dei mammiferi che oltre a dare patologie respiratorie, possono provocare delle gastroenteriti. Chi ci dice che, fra qualche anno, non potrà causare delle gastroenteriti, magari nei bambini?”, aggiunge la virologa, parlando del futuro del virus.

“Dobbiamo stare attenti. Bisogna trovare una soluzione che permetta al Paese di ripartire, ma allo stesso tempo usare il buon senso. Questo problema non possono risolverlo gli scienziati, né i politici o i giornalisti. Lo risolveranno le persone. Ormai sappiamo cosa bisogna fare, conosciamo i fattori di rischio. Le norme di sanità pubblica messe in atto funzionano. Dobbiamo essere consapevoli che conviveremo con il virus, come abbiamo imparato a fare. Non significa però che la quarantena dovrà durare in eterno. Uscire lentamente, un po' per volta, non tutti insieme”, aggiunge.

Una seconda ondata? “Innanzi tutto, questo non è un virus trasmesso da vettori, quindi le zanzare (in arrivo, data l'avvicinarsi dell'estate) non rappresentano un problema. Una seconda ondata? Potrebbe esserci. Specialmente se la cosiddetta immunità di gregge non è in grado di arginare la diffusione del virus”. Poi, l'interrogativo, che arriva mentre la virologa parla delle mutazioni subite dal Covid-19. “Possiamo dire poco per quanto riguarda l'Italia. Ho controllato: ci sono 10mila sequenze, di cui 40 italiane. È una faccenda sulla quale molti colleghi si interrogano: come mai queste sequenze italiane non si pubblicano? È importante avere una fotografia globale di come questo virus si muove, altrimenti non potremo mai combatterlo ad armi pari.

C'è bisogno di studiarlo con tutte le forze che abbiamo”, commenta.

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