Quante volte avete visto questa scena? Il muso sporco di polvere, quegli occhi neri che vagano affamati, e lei,Rossella O’Hara, che cammina nel crepuscolo, con bagliori di cielo rosso sui capelli. È Atlanta, la Georgia, il Sud confederato, è una ragazza capricciosa e spietata a cui la guerra ha tolto tutto. Eccola, si inginocchia e raccoglie un pugno di terra. È la sua terra, distrutta, abbandonata, seviziata. La alza al cielo. E Rossella urla contro la notte: «Supererò questo momento e giuro che quando sarà passato non soffrirò più la fame ». E poi parte quella che ormai rischia di passare alla storia come la sigla di Porta a Porta .
Taaaa ta taaa ta.
Tara. La terra. Quello che resta dopo che tutti i domani sono stati spazzati via. Dopo il buio e la tempesta. Quando la gioventù sfiorisce e ti accorgi che la tua esistenza cammina su un filo. Allora ti aggrappi a Tara, alla terra. Ok, quella era la guerra civile americana, Nord contro Sud, giacche blu contro giubbe grigie, i negri illusi dagli uni e liberi dagli altri. È una guerra vecchia e sporca. Vero. Eppure i nostri economisti dicono che anche questa crisi assomiglia un po’ a una guerra, con quasi gli stessi effetti sulla ricchezza, sulle speranze, sulla rabbia che ti schiatta dentro. Una guerra senza sangue, ma con i suoi morti solitari. Quella durò quattro anni, questa sembra non finire mai. E ancora una volta ti viene da cercare la forza per andare avanti stringendo tra le mani la terra di Tara. È quello che sostiene, tirando in ballo i numeri, la Coldiretti. «La terra è come l’oro, un investimento più sicuro di casa e azioni». La terra come investimento, con il prezzo che sale dello 0,5 per cento rispetto all’anno prima e un punto virgola tre se si guarda al 2010. La terra come lavoro, perché sono in grosso aumento i ragazzi che scappano dal precariato e trovano il coraggio di scommettere su un’impresa agricola. La terra come rifugio, come futuro, come certezza. La terra, la nuda proprietà, che purtroppo deve fare i conti con l’Imu,terra sacra che però non ha le stesse garanzie delle chiese.
Il ritorno alla terra, se confermato, sembra un simbolo di questa lunga stagione. La terra è agli antipodi dalla finanza, da quel non luogo che ha generato la crisi. La terra è solida,concreta,è atavica,è tradizione. È semplice. Non ci sono derivati, non ci sono funzioni matematiche, ma resta ancora alla solidità delle geometrie euclidee. La tracci, la scavi, la lavori, la sudi. È calda e non assomiglia alla ricchezza fredda che passa in fretta sui computer, inseguendo il gioco degli indici. Questo non significa che la terra è il bene e la finanza è il male. Non è un giudizio morale. È solo che sono due facce dell’economia. E se una è contaminata dall’incertezza, l’altra ora appare più sicura.
L’errore però è considerare la terra semplicemente una ritirata nel passato, quasi si volesse rinnegare il capitalismo. Non è così. Questo ritorno porta con sé tutto il Novecento. Non è la terra di Toro seduto o di Cincinnato. Non è la fuga dalla modernità. È una terra ambiziosa, fatta per chi ha voglia di impresa e di mercato, di chi ha il coraggio di rischiare e di scommettere, di chi non si accontenta di sopravvivere ma cerca il profitto. Questa terra non è feudale, ma reinterpreta il capitalismo, lo strappa all’effimero e intangibile potere della finanza, per dargli sostanza. Ma anche per la terra esiste il mercato, i mutui, il credito, le banche e le speculazioni. La terra è un rifugio se viene percepito come affare. Compro adesso perché spero di guadagnarci di più in futuro. Oppure la terra comeproduzione,comeun’impresa. La differenza è che noi italiani la terra l’avevamo abbandonata. Messa nello sgabuzzino delle cose vecchie,con tanti contadini trasformati negli anni ’ 70 in metal-mezzadri. La terra era allora fatica e povertà. La fatica non si cancella, ma il sogno è ripartire dalla terra per sconfiggere la povertà.
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