Bisogna trovare qualcosa da far fare a Conte. È una frase che da un po' di tempo ricorre nelle stanze della maggioranza, con ironia e una certa dose di cinismo. Il senso è che i tempi sarebbero pure maturi per un cambio alla guida del governo, ma prima di licenziare il premier serve una poltrona di buonuscita. Di questi tempi non è una ricerca facile e il protagonista di questa storia non ha alcuna intenzione di lasciarsi liquidare con una pacca sulle spalle. Conte resiste e nel suo futuro non vede un ritorno alla sua professione di avvocato di affari. È arrivato a Palazzo Chigi come uomo di rappresentanza nel patto tra Di Maio e Salvini. Si è ritrovato a fare il bis con l'inattesa benedizione del Pd. Ora sente che la politica è il suo mestiere. È convinto di essere stato un punto fermo nei mesi del contagio e di aver rassicurato gli italiani. Sente di potersi giocare un sua partita, magari anche con un suo partito e un ruolo in una grande coalizione di sinistra. Quando, un giorno, si tornerà a votare potrebbe perfino essere lui il candidato contro le destre. Zingaretti, in fondo, si era lasciato scappare una mezza promessa. Perché dovrebbe ora lasciare la presidenza del Consiglio? Da dove nasce tutta questa fretta? Chi c'è in giro meglio di lui?
Non sono domande stralunate, eppure intorno a Conte si percepisce un sentimento di sfiducia. Le mosse sotterranee cominciano a emergere. Si vedono. Sono chiare e prima o poi potrebbero trovare un punto di caduta. C'è, per esempio, molta preoccupazione nel Pd per la rabbia che si respira in giro. Le manifestazioni di piazza possono anche avere un colore, arancione, folkloristico, ma sono il picco di qualcosa di più di un malcontento diffuso. È paura. È la preoccupazione di tante e tante persone che non vedono risposte da parte del governo e della politica in genere. Non sanno più a che santo votarsi e, perso per perso, scaricheranno rancore su chi in questo momento ha le chiavi del potere. Conte, per resistere, si gioca tutto con un programma di riforme e investimenti da colossal, tanto da evocare perfino il ponte sullo stretto di Messina. Chiama a raccolta le opposizioni, serve l'aiuto di tutti e annuncia tavoli di confronto con partiti, parti sociali, associazioni e con le menti più brillanti in circolazione, una sorta di «giacche blu» della consulenza economica, scientifica e tecnologica. Come per ribadire: arrivano i nostri.
Solo che Conte sconta un peccato: ha già fatto molte promesse e sono rimaste chiacchiere. Lo ammette anche lui: «Ci rendiamo conto dei ritardi. Ci stiamo confrontando con una legislazione che non era affatto pronta a erogazioni così generalizzate. Di questi ritardi ho già chiesto scusa». Il capo del governo si ritrova insomma pure lui, come tanti italiani, a maledire gli ingorghi della burocrazia. L'utopia dello Stato di voler regolamentare ogni aspetto della vita quotidiana è il fardello che toglie respiro all'economia. La consapevolezza è una buona cosa, ma non è l'unico problema.
La realtà è che i soldi per finanziare un piano di ricostruzione non ci sono. L'Europa ha trovato una base d'intesa, ma c'è ancora da mettere tutto nero su bianco e i tempi non sono veloci. Le ferite di un Paese a lungo chiuso si sentono ancora di più adesso e saranno ancora più dolorose dopo l'estate, quando ogni parola verrà percepita come un'altra, irritante, presa in giro. È per questo che si pensa di cambiare cavallo, cosa che chiaramente non basta, ma è la prima mossa istintiva. Goffredo Bettini, il grande tessitore del Pd, in diretta su Omnibus, sulla 7, rivela la tentazione di aprire una nuova stagione di governo. «Conte ha svolto un ruolo positivo ma oggi non basta più, ci vuole una strategia di ripresa». Con una maggioranza più ampia? Con un altro premier? Zingaretti vuole una maggioranza più vasta, Bettini un nuovo premier. Resta però il problema del come, del quando e in che modo liquidare l'esperienza di Conte.
Intanto si è capito che nel suo governo, con il ministro della Sanità Speranza, ci si sta muovendo per attivare gli aiuti del Mes. Conte finora ha tergiversato su questo argomento. È la mina che potrebbe farlo saltare. Una parte dei Cinque Stelle, ormai più per questioni di principio, ha sempre detto che se passa il Mes salta l'attuale accordo politico che tiene in vita il governo. Conte, invitato a parlarne in Parlamento, ha fatto sapere che c'è tempo. La sua intenzione è mettere in calendario la questione dopo l'estate.
È la strategia che gli ha permesso di sventare gli agguati fino ad ora. Non aprire fronti parlamentari su temi delicati e soprattutto divisivi.
Fino a che punto però può ancora temporeggiare? La strategia di galleggiare come un morto a galla ha un limite. Quando arrivano le onde forti viene sbatacchiato sugli scogli. In piazza e nel Paese si sta alzando la marea. Il premier adesso deve davvero fare qualcosa, magari imparare a nuotare.
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