Scena del crimine

"Salvai un militare innocente. Così smaschero i bugiardi"

Il professor Felix B. Lecce racconta alcuni dettagli della sua attività nell'ambito della comunicazione forense. Ecco come scova i bugiardi

"Salvai un militare innocente. Così smaschero i bugiardi"

Impossibile dire bugie se si viene analizzati da un esperto della comunicazione, che attraverso le sue competenze professionali riesce a entrare dentro l’anima di chiunque esplorando i pensieri più nascosti. Lo sa bene Felix B. Lecce, professore di comunicazione forense e di analisi comunicazionale al Master in Scienze Forensi dell'Università “La Sapienza” di Roma che, nell’ambito delle sue diverse specializzazioni, mette al servizio degli organi inquirenti le proprie competenze.

Valutare la credibilità delle persone è un elemento di fondamentale importanza per arrivare all’accertamento dell'attendibilità delle dichiarazioni rese all’interno di un processo. Ma non solo: in caso di persone scomparse, la funzione del professore è quella effettuare un’analisi comparativa tra un adulto sconosciuto e i genitori o i parenti di un minore scomparso molto tempo prima, per stabilire se vi siano dei segni di familiarità sonora nel modo di parlare dei soggetti analizzati, oppure se lo sconosciuto abbia un sufficiente numero di tratti del volto ereditabili in comune con il suo presunto genitore o parente.

Nel suo passato ultraventennale come investigatore nelle forze di polizia, il professor Lecce ricorda di essere stato soprannominato addirittura “dottor Lie to Me”, un chiaro richiamo alla serie televisiva americana “Lie To Me”, in cui lo psicologo forense Cal Lightman collaborava con la Cia, l'Fbi e i dipartimenti di polizia per smascherare criminali e testimoni bugiardi. A Il Giornale.it il professor Lecce ha raccontato qualche dettaglio della sua attività.

Quali sono gli elementi che analizza nel momento in cui è chiamato ad ascoltare una persona?

"In ordine di interesse, gli elementi che analizzo sono: come le persone si comportano, come guardano, come parlano e anche ciò che dicono, soprattutto dal punto di vista metalinguistico. È necessario seguire quest’ordine perché il come ci si comporta e il come si guarda sfuggono maggiormente alla consapevolezza e al controllo volontario delle persone in genere, e sono quindi gli aspetti che a me serve valutare di più per capire se sono spontanee e sincere".

Chi sono le persone che esamina?

"Sono potenziali testimoni e potenziali vittime di reato. Dico potenziali perché, nel caso dei testimoni, si tratta di persone che dicono di aver assistito a un fatto, ma prima ancora di valutare ciò che dicono è necessario capire se davvero sono dei veri testimoni. Riguardo a talune tipologie di vittime, prima di valutare la credibilità di ciò che denunciano di aver subito, è necessario capire se nella loro comunicazione vi siano indizi scientificamente rilevanti di insincerità e di finzione".

Ci sveli un segreto, qual è il primo elemento per capire di essere di fronte a un bugiardo?

"In realtà ci sono tre tipologie di elementi. Quelli di tipo comportamentale: tra questi uno dei più rilevanti è che, contrariamente a quanto si crede, chi sa mentire non distoglie mai lo sguardo, anzi lo tiene fisso sul suo interlocutore per riuscire a coglierne le sue reazioni inconsapevoli di credulità, oltre che per dargli l’impressione di essere sincero. Poi ci sono quelli di tipo paraverbale, cioè relativi alla voce umana. Quando le persone mentono, tendenzialmente parlano in maniera più veloce e tendono ad alzare il tono della voce verso la fine di ogni frase. Poi ci sono gli elementi di tipo contenutistico e logico-argomentativo: i bugiardi sono molto precisi e dettagliati. Solitamente le persone credono che se un testimone cambia spesso versione dei fatti stia rendendo dichiarazioni mendaci, in realtà noi studiosi sappiamo che spesso è l’esatto contrario, perché il mentitore per non cadere in contraddizione e apparire credibile, solitamente progetta ed elabora a memoria la versione dei fatti ed è quindi in grado di ripeterla infinte volte allo stesso modo. Quando noi esperti sospettiamo che qualcuno stia mentendo, chiediamo o suggeriamo agli inquirenti di chiedere al soggetto di riferire i fatti in ordine inverso, partendo dall’ultima cosa detta. Solitamente i mentitori a quel punto piombano nel silenzio o iniziano a fare tentativi ricostruttivi con eloquio molto esitante. Le persone sincere invece ricostruiscono i fatti recuperando i ricordi nel momento in cui hanno necessità di riferirli. In più, sapendosi sinceri, si preoccupano ben poco della impeccabilità espositiva dei fatti che riferiscono. Chi mente sente un irrefrenabile bisogno di essere creduto e cerca di apparire preciso e impeccabile".

Impossibile fare i furbi quindi?

"È assai difficile".

Che differenza c’è tra credibilità e attendibilità?

"La credibilità è un parametro che viene valutato scientificamente. La credibilità è la capacità di ispirare fiducia in modo da far percepire come veritieri i contenuti della propria comunicazione, anche qualora si menta. Insomma: dire qualcosa di falso facendolo sembrare vero. La credibilità è quindi il parametro più insidioso. L’attendibilità invece è la qualità riconosciuta dal giudice a qualcuno o a qualcosa che sono giudicati meritevoli di considerazione in ambito processuale penale. Per arrivare a tale giudizio il giudice può avvalersi della consulenza tecnica di un perito che, valutato come il testimone parla, come si comporta e ciò che dice, può esprimere una valutazione scientifica sulla sua spontaneità e sulla credibilità. Sostanzialmente la prima consiste nel riferire informazioni false in tutto o in parte, facendole sembrare vere, la seconda è la caratteristica che permette di riconoscere subito una persona che dice la verità o ciò che crede essere tale".

Qual è stato il caso che ricorda come più difficile o che le ha lasciato un ricordo particolare?

"In realtà tutti i casi sono difficili. Uno che mi ha lasciato il segno è però quello che ha riguardato un appartenente alle Forze dell’Ordine, che era accusato nel coinvolgimento di un’attività criminale. Effettivamente, quando l’uomo è stato ascoltato dagli investigatori e dal pubblico ministero, esibiva un modo di comportarsi e di parlare tipico dei bugiardi, secondo alcuni luoghi comuni sul fare e il dire di chi mente. La cosa difficile è stata riuscire a capire che probabilmente quella persona aveva una modalità di comunicazione tale da farlo sembrare insicuro e insincero anche quando diceva la verità. Ancor più difficile è stato cercare di dimostrarlo e convincere gli inquirenti di questa intuizione, mentre in loro si stava formando l’idea che quella persona stesse mentendo e stesse coprendo i complici. Attraverso una videocamera con videocassette in formato Vhs-C, eravamo nel ’94, ho fatto una serie di registrazioni. Ho riguardato più volte i video e mi sono accorto che in fondo il problema non era ciò che l’uomo diceva, ma il suo comportamento che lo rendeva poco credibile. Mi è quindi venuto in mente il test della macchina della verità. In questo caso, per tarare la risposta veritiera, si fanno alla persona delle domande delle quali si conosce già la risposta per poi procedere agli altri quesiti di cui non si conosce l’esito. Partendo da questo spunto ho fatto una cosa simile. Non è stato semplice, ma alla fine sono riuscito a far emergere la verità".

È difficile riconoscere persone scomparse che tornano potenzialmente dopo anni. Come fa in questi casi a capire dalla voce se c’è un legame con i loro familiari prima ancora che venga esaminato il Dna?

"Per poter valutare dalla voce se c’è una familiarità tra una persona scomparsa, poi ricomparsa, e un suo presunto familiare, occorre partire da un presupposto e cioè che la persona ricomparsa abbia potuto vivere con il genitore o il parente almeno per i primi 5 o 6 anni di vita. Si tratta dell’età in cui i bambini sono in grado di mutuare dagli adulti dei modelli sonori di utilizzo della voce. Se siamo in questa situazione, allora si possono analizzare l’intonazione della voce delle persone interessate e la velocità nel parlare (anche se la lingua è diversa). Poi si passa ai parametri di tipo osservativo. Le persone possono avere fino a 17 punti del volto ereditabili che possono coincidere tra loro.

Questa analisi, che io ho chiamato Acev (Analisi Comparativa dei tratti Ereditabili del Volto), permette un primo riconoscimento quando mancano altri parametri e può anche aiutare gli investigatori quando l’esame antropometrico del volto risulti particolarmente difficoltoso".

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