Politica

Una Costituzione da salvare

Parafrasando un celebre romanzo di Milan Kundera, questi giorni stanno dimostrando "l'insostenibile leggerezza della politica"

Una Costituzione da salvare

Parafrasando un celebre romanzo di Milan Kundera, questi giorni stanno dimostrando «l'insostenibile leggerezza della politica». Una politica schiava dei media internazionali e dei mercati, di assunti tutti da dimostrare, di paure inventate, del teorema del piano inclinato che porterebbe inevitabilmente, fatalmente, ineluttabilmente, Mario Draghi al Quirinale.

Ipotesi legittima ma che, per avverarsi, si sta facendo avanti attraverso modi e motivazioni che si portano dietro una modifica surrettizia del nostro sistema politico, delle liturgie istituzionali, degli stessi equilibri costituzionali. Una metamorfosi basata sulla prassi senza innovare le regole, che potrebbe rivelarsi pericolosa.

Si teorizza, visto che questo governo non funziona e la maggioranza neppure, di trasferire d'emblée Draghi al Quirinale per preservarlo. Siamo passati dalla strategia dello scoiattolo a quella del panda. Addirittura il premier svolge delle trattative con le forze politiche per creare le condizioni che gli consentano di salire al Colle. Cioè, con un capo dello Stato ancora in carica, il capo del governo promuove - autonomamente, senza mandato - delle consultazioni per formare un altro esecutivo che ovviamente dipenderà più da lui che dall'ipotetico successore, visto che è stato lui a porre le basi della sua nascita. E nella follia di un senso comune smarrito si azzarda pure che a Palazzo Chigi vada una persona degnissima, pure donna, ma che in questo momento dirige i servizi segreti. Roba da Paese sudamericano.

Stiamo parlando di enormità, non più di forma ma di sostanza. Stiamo trasferendo senza alcuna riforma il potere esecutivo dal governo al Quirinale. Una sorta di modifica strisciante alla fine della quale il presidente della Repubblica, quello che dovrebbe essere l'arbitro, il garante, detiene pure il potere esecutivo: capo dello Stato e capo del governo nel nuovo schema sono due figure che si sovrappongono, mentre il prossimo premier sarà ridotto al ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Operazioni del genere negli anni '60-'70-'80 sono state messe all'indice dalla sinistra come pagine buie della Repubblica. Qui, invece, avviene tutto alla luce del sole, sotto i riflettori di spettatori inconsapevoli, di una politica fragile, ma in fin dei conti la sostanza non cambia. Peggio: fatto così, alla rinfusa, non ne esce nessun presidenzialismo, semi-presidenzialismo e tanto meno l'elezione diretta di un ruolo che detiene tutto questo potere, ma solo un grande accrocchio.

Inoltre se il presidente si trasforma in questa figura anomala è evidente che le elezioni perdono importanza. In fondo le congetture che accompagnano questo processo sono chiare: mettiamo Draghi al Quirinale perché nei fatti governerà sette anni. Le elezioni del prossimo anno (avviso a Giorgia Meloni) nel nuovo schema sono una noiosa formalità, visto che la continuità di governo è assicurata dal presidente della Repubblica. Il sogno della sinistra, il modello di Napolitano, quell'allergia culturale verso le urne e il voto democratico, rischiano di trasformarsi in una realtà.

Il paradosso è che in queste condizioni la difesa di una parvenza democratica è delegata al «sovranista» Salvini, al «divisivo» Berlusconi e al «populista» Conte.

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