In Italia c'è la dittatura perché lo dice la tv. È subdola, segreta, malandrina, fosca e nebulosa, e se per caso sei troppo ingenuo o troppo furbo fai fatica a crederci. In Italia la dittatura è un'astrazione. È un progetto, una prospettiva, un salto nel buio, uno scarto di lato dentro una finzione. In Italia la dittatura c'è, ma non si vede. È un gioco di prestigio, un vuoto a perdere, una voce che qualcuno ha messo in giro, una giostra, un rito pubblico e civile, una processione. È metafisica. È il mito eterno della resistenza. È quello che ci vuole per non sentirsi senza. È incredibilmente a macchia di leopardo. È nazionale, feroce e funzionale, ma non c'è in Toscana, in Emilia o in Romagna. Non c'è in Puglia, in Umbria e neppure in Sardegna, non te ne accorgi se sei in Val d'Aosta. C'è in Lombardia, ma non a Milano; nel Lazio, ma non a Roma; e in Liguria, ma non a Genova. C'è solo dove non vincono loro.
È oggi, è ieri, è adesso, è prima, dopo e il giorno che verrà. È la vita fatta a scale. C'è tutti i giorni, ma non il venerdì, soltanto perché si sciopera. La dittatura, come la rivoluzione, non è un pranzo di gala. È una coalizione fatta di invidie e compromessi, di partiti e veti incrociati, senza neppure più l'alibi dei conflitti di interesse e comunque ci sarà, e lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate. La dittatura, dicono, è una questione di facce. La dittatura non è più un affare di Stato e qualche volta sembra invece una speranza, ma solo per chi si è ritrovato a vivere nel tempo sbagliato con questa strana vocazione da Matteotti a cui il destino ha strappato uno Starace o un Pavolini e così ora vaga per le strade triste e disperato alla ricerca di qualcuno che almeno lo sbeffeggi con una goccia di ricino, insultando questi poliziotti inermi che da quando Pasolini ne ha riconosciuto i cromosomi popolari non si possono neppure lapidare. Allora poveri martiri senza martirio, rivoluzionari in cerca di una scusa per la rivoluzione, idealisti con gli avanzi di ideali e soprattutto antifascisti orfani del fascismo, che è il modo più facile per sentirsi, neppure a tempo perso, controfigure degli eroi. Tutta colpa di questo regime che ci sta mettendo una vita a materializzarsi, restando sottotraccia come la più inquietante delle maledizioni, l'ansia di una generazione di messia in attesa di una crocifissione. La dittatura pure stavolta ha perso il tram.
La dittatura, per chi ci crede, è una canzone d'autore. È un best seller, una raccomandazione al contrario, un posto fisso in un premio letterario. È pianto, aureola e devozione. È la via larga che ti porta in ogni dove. È ascensore sociale e una carriera da indignato speciale. È sicumera e vitalizio. È una cattedra di moralismo e male che ti assicura una sinecura. È il migliore, così si narra, giornalismo d'inchiesta spaparanzato nella televisione di Stato. Attenti al cane. L'importante è certificare l'ombra della dittatura, con una formula accurata di parole: se adesso non c'è, domani ci sarà. Attenti al lupo.
La dittatura è la strana ricetta di chi dice che per debellarla davvero sarebbe meglio non farli votare, codesti qui che non sono a misura, non rispondono, non capiscono, non si allineano. Questa cosa non va bene, dicono come se fossero veramente partigiani, qui si rischia un eccesso di democrazia. Poi si vestono con il basco e con il mitra e vanno a festeggiare il carnevale lassù in montagna. La dittatura da queste parti è un film d'azione. È finzione e immaginazione. È qualcosa che passa in fretta, basterebbe vincere le elezioni, ma quando accadrà per qualcuno sarà una disgrazia, perché gli toccherà sceneggiare la liberazione, che sarà pure una bella cosa, ma ti toglie il pathos della partecipazione, e poi ti tocca rimboccarti le maniche e da vittima del potere improvvisarti democristiano. La dittatura è la leader dell'opposizione che va nel mondo a raccontare il regime con la valigia delle vacanze e poi torna a casa e nessuno la arresta, anzi in tanti la abbracciano e le fanno coraggio: vedrai che anche a te lo daranno un bel Nobel per la pace. Ma se non notate la differenza chiedetevi perché: i dittatori forse siete voi.
La dittatura c'è, ci fa o ci sarà perché la dittatrice si fa chiamare dittatore invece di dittatora.
La dittatura questa volta è donna, perfino troppo donna e lo dimostra il fatto che sia inutilmente bionda, con gli occhioni azzurri e faccia le faccette e strabuzzi le sopracciglia e quel suo modo di parlare, alzando il volume della voce, è sicuramente signora mia una patologia da ciclo lunare, una di quelle cose che le donne perbene non dovrebbero più avere. Questa dittatura non è una cosa seria.La dittatura, quella vera, quando è reale, quando arriva ti porta via tutte le parole.