La dolce morte ha il sapore di una birra

La dolce morte ha il sapore di una birra

N ella stanza di ospedale c'è un anziano signore che brinda alla sua morte. Al capezzale ci sono i figli, che in uno di quei lunghi, strazianti addii che la malattia impone alle famiglie, provano a tenergli le mani come per trattenerlo ancora un po'.

Non è una scena rara. Con l'innalzamento dell'età media, a chiunque è capitato di salutare un parente in fin di vita. Senza boia o guerre, ci pensano il cancro e compagnia a condannarci a morte.

Eppure la fotografia di Norbert - che si è spento a 87 anni poche ore dopo quello scatto - è eccezionale e sta commuovendo il mondo. Perché nessuno è triste, nessuno piange, non c'è dolore: nel momento in cui la famiglia Schemm si spezza, tutti sorridono. Eccetto una donna: l'unica senza una birra in mano.

L'immagine l'ha postata sui social Adam, il nipote del corpulento signore di Milwaukee, con un messaggio: «L'unico desiderio del nonno è stata un'ultima birra coi suoi figli». E in poche ore in migliaia hanno risposto, in una planetaria partecipazione al lutto dove per una volta i social sono sembrati quasi umani, caldi come le veglie funebri in casa al Sud, le bevute degli zigani, i brindisi e i canti al pub in Irlanda. Sul web è tutta una cascata di fotografie di ultimi istanti, schegge di memoria con chi non c'è più. L'ultima partita degli Yankees in tv con papà, il bicchierino finale di Bailey's della nonna, l'estremo sigaro che con il suo fumo buono terrà lontani gli spiriti nell'aldilà.

In molti, sociologi e massmediologi, cercano di spiegare questa voglia di condividere sui social perfino il lutto. Esiste un limite? È cattivo gusto? Eppure da quando l'uomo esprime il culto dei morti - da prima del lavoro e della religione - il peso dell'addio ha bisogno di essere sopportato insieme. Tante spalle lo reggono meglio, che si parli di una bara di mogano massiccio o di un post da 300mila «like».

La cosa che invece fa riflettere è la poetica, ordinaria, bellezza dell'ultimo desiderio di un uomo. Siamo abituati a pensare che l'atto conclusivo dell'esistenza debba essere epico e memorabile, una chiusura col botto. Un lancio col paracadute mai fatto, il viaggio intercontinentale sempre rimandato, il tentativo estremo di strappare al tempo un'esperienza in più, la realizzazione sul filo di lana di un sogno mai coronato. Norbert invece è sceso a patti coi sogni che non ha realizzato, ha il sorriso di chi ha accettato la fine e «parte per l'altro mondo come gli scolaretti», che fischiettano spensierati calciando sassi e perdendosi a bighellonare come nella canzone di Brassens.

C'è una tenera pace in quell'ultima richiesta di condividere un piacere semplice con i figli che continueranno il cammino. È una coccola a dei bambini adulti, un abbraccio liquido come forse sessant'anni prima il giovane papà Norbert aveva fatto sopra alle culle, col biberon. C'è più famiglia in quelle Bud Light industriali che in tanti forum e convegni.

Perché sotto la schiuma di quella scelta c'è il regalo più bello: ogni birra, da adesso in poi, ricorderà ai figli di Norbert il papà. Ogni birra sarà più buona, la più gelata scalderà il cuore.

E così viene da pensare che forse sì, una «dolce morte» esiste. Profuma di affetto e ha il retrogusto amaro di luppolo americano.

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