Coronavirus

Il dramma del Paziente 1. Sta per essere dimesso ma il virus uccide il padre

Mattia uscirà entro domani. Il padre, 62 anni, era di Castiglione d'Adda, paese tra i più colpiti

Il dramma del Paziente 1. Sta per essere dimesso ma il virus uccide il padre

Poteva essere l'unico sorriso di una primavera così angosciante da spaventare anche le rondini. Ma il destino ha voluto mettere anche qui il suo fetido zampino. E la festa di Mattia, il paziente numero uno del coronavirus, è stata rovinata nel modo peggiore.
Mattia è il trentottenne con la tessera numero uno del poco ambito club dei contagiati dal virus arrivato dalla Cina. Verrà dimesso in queste ore, oggi o «al più tardi lunedì», ovvero domani, come annuncia l'assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera. Avrebbe tutto il diritto di essere felice, sentendosi il sopravvissuto d'Italia, un simbolo della lotta che il nostro Paese sta combattendo ciascuno a suo modo - chi lottando con un respiratore che gli sequestra il volto, chi in corsia a sbattersi dodici ore al giorno, chi semplicemente restandosene sul divano resistendo alla tentazione di farsi una passeggiata al sole - ma ieri ha avuto la notizia che il padre Manolo invece è stato sconfitto dallo stesso nemico. È morto, una delle 62 vittime del paese di Castiglione d'Adda, uno dei dieci comuni della prima zona rossa d'Italia, quella del Lodigiano. Un paesino talmente falcidiato dal Covid-19 (è morto quasi l'1,5 per cento della popolazione composta da 4600 abitanti) che il sindaco Costantino Pesatori ha qualche giorno fa telefonato all'infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli, suggerendo di condurre uno studio epidemiologico sul comune che amministra. E Galli avrebbe preso in considerazione la proposta.
Quindi niente festa per Mattia, con cui il coronavirus ha fatto 1-1 ma senza gioia. I sorrisi, certamente un po' più stiracchiati, sono lasciati a quando nascerà la figlia, e dovrebbe essere anche questo a giorni. Mattia fu ricoverato lo scorso 20 febbraio all'ospedale di Codogno, e da cui ebbe inizio tutto questo. Querl giorno, poco dopo mezzogiorno, l'anestesista Annalisa Malara ebbe l'intuizione che quel paziente che si era già presentato al pronto soccorso due giorni prima con i sintomi di una polmonite ed era stato rimandato in casa, e che si era ripresentato qualche ora dopo in condizioni peggiorate ed era stato ricoverato nel reparto di Medicina, era forse stato contagiato dal coronavirus. Tragico bingo.
A Mattia venne fatto il tampone e si scoprì che era stato effettivamente invaso dal coronavirus. I primi giorni li passò nel nosocomio di Codogno, poi venne trasferito al San Matteo di Pavia, molto più attrezzato. Da quel giorno Mattia è stato isolato e non ha potuto più vedere la moglie Valentina, all'ottavo mese di gravidanza, anche lei infettata ma guarita. «Ho tenuto duro perché sto per diventare papà - ha detto Mattia a un'infermiera quando scì dalla terapia intensiva e si capì che il peggio era passato -. Mentre avevo il tubo nella trachea ho pensato che se fossi stato solo, avrei mollato. È la vita degli altri a trascinarci avanti».
Mattia è guarito per dare un seme di speranza per tutti coloro che si trovino a fronteggiare il coronavirus. Ma anche perché il giovane ricercatore dell'Unilever di Castalpusterlengo ha una tempra di maratoneta e di giocatore di calcio, un Superman quotidiano che anche in questo caso ha potuto sfruttare qualche superpotere. La lotta di Mattia sarà comunque utile a molti. «Abbiamo isolato - dice Fausto Baldanti, primario di virologia del San Matteo - gli anticorpi prodotti dai primi contagiati nel Lodigiano. Il loro plasma, come già in Cina, aiuterà a salvare molte vite».

Le vite degli altri, appunto.

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