Il Duce, Salò e la storia che non si cancella

Il Duce, Salò e la storia che non si cancella

E adesso come faremo? Perché l'altra notte a tarda ora le agenzie hanno battuto la ferale notizia: la coraggiosa lotta di un indomito manipolo di difensori della libertà (loro e di tutti noi) è stata piegata. Seppur all'ultimo. L'eroico assalto condotto con sprezzo del pericolo a un cadavere, peraltro già appeso a testa in giù e debitamente sfregiato e oltraggiato a Piazzale Loreto, è stato purtroppo respinto. Non con le baionette, ma dal democratico voto del consiglio comunale di Salò che ha bocciato a stragrande maggioranza la richiesta di revocare la cittadinanza onoraria concessa a Benito Mussolini dal commissario prefettizio nel 1924. Molti anni prima di quell'ultimo scorcio di era fascista che proprio sulle sponde del Lago di Garda pose l'ultima trincea della Repubblica sociale italiana per affrontare l'assalto di tutto il mondo che gli si era ormai rivoltato contro. Un paesaggio che faceva così malinconia a quel duce ormai al tramonto e che così tanto rimpiangeva oltre agli anni del suo fascismo rivoluzionario, quel sole e quel mare che odorava di salsedine della sua tanto amata Romagna bella.

E invece niente. La mozione presentata dal gruppo di opposizione Salò Futura è stata bocciata: 14 i voti contrari, tutti quelli della maggioranza di centrodestra del sindaco Giampiero Cipani a cui si sono aggiunti i due della lista di minoranza filo leghista Insieme per Salò di cui fa parte anche l'eurodeputata Stefania Zambelli. «L'unico modo per debellare l'ideologia sbagliata del fascismo - la motivazione del voto contrario - è dimostrare con i fatti che la nostra idea di Stato, liberale e democratico, è quella giusta». Bollando la mozione presentata dalla sinistra come «strumentale e anacronistica».

E così in un Paese alle prese con una crisi economica e soprattutto politica di cui non si valuta la gravità, i nostri Comuni si baloccano con la revoca di cittadinanze concesse un secolo fa. E del resto una sinistra in stato ormai comatoso per mancanza di ideali e che non si può più dire comunista per l'evidente orrore che il solo pensarlo genera, nelle gente per bene, tutto ciò che resta per coalizzare il mare magnum di quel mondo, è l'essere «anti». E ora che anche l'antiberlusconismo comincia per ragioni anagrafiche dell'interessato a non dare più i frutti richiesti, si torna a un antifascismo da barzelletta da traslare con un triplo salto carpiato nell'anti salvinismo, il nuovo bersaglio dei compagni. Non altrimenti si spiega la corsa di tanti Comuni alla revoca della cittadinanza a Mussolini, a partire da Bergamo dove Giorgio Gori, che non è un pericoloso reazionario, si era astenuto dicendo che la revoca non aggiunge nulla al «tasso di antifascismo» della città. Ma lì la mozione di Sinistra unita era passata. E speriamo che il duce se ne faccia una ragione. Tutto questo in un'Italia dove continuano a esserci le vie Stalin, Lenin e Togliatti e dove al maresciallo Tito, infoibatore di italiani, ma anche boia di jugoslavi, conserva il titolo di cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, cioè l'onorificenza più alta prevista dal nostro Stato.

E dove ieri la Corte di appello di Milano, ribaltando la sentenza di primo grado, ha condannato a un mese e 10 giorni e multa di 200 euro per apologia di fascismo sulla base della legge Mancino, gli undici che avevano salutato romanamente il 23 marzo 2017 i caduti della «rivoluzione fascista» del 1919 e la fondazione dei «fasci di combattimento». Si potrebbe ridere se non si dovesse piangere.

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