Coronavirus

Covid, ecco il documento per chiudere in casa i lombardi

I momenti drammatici di marzo, le cure di medici di base: "Qui regnava il caos... non sapevamo come comportarci". Il documento usato per mettere in quarantena i casi a rischio contagio

Covid, ecco il documento per chiudere in casa i lombardi

Oggi sembra tutto, o quasi, più chiaro. Conosciamo bene cosa significgi trattare un asintomatico. Quanto possa essere pericoloso lasciarlo libero di circolare. I medici hanno imparato a intervenire sui malati (e a tamponare i danni che il Covid-19 causa) sin dall'insorgere dei primi sintomi. La pandemia, inoltre, sembra regredire. Ma solo tre mesi e mezzo fa - non l'altro ieri, ma neppure una vita fa - la corsa contro l’infezione era frenetica, drammatica, a tratti dolorosa. "Alla fine di febbraio - ci racconta un medico di base di Nembro - qui regnava il caos... non sapevamo come comportarci". Ci sono le visite a domicilio per provare a curare quei pazienti che al minimo movimento vedono il saturimetro schizzare alle stelle. E poi ci sono le telefonate ("Anche cento in una giornata") di chi annaspa in una febbre che sfondava i 40 gradi. "Eravamo tutti senza protezioni - ci spiega - io avevo a malapena una mascherina e un paio di guanti".

Un quadro più dettagliato della gestione di quelle ore emerge dai documenti, che ilGiornale.it ha potuto visionare, inviati dalla direzione sanitaria lombardia alle Agenzie di Tutela della Salute e da queste allo stuolo di medici di base, pediatri e dottori delle guardie mediche che, in prima battuta, si trovano a gestire una malattia che non conoscono e per cui non esiste una cura. Prescrivo loro l'antibiotico. Ma è inutile. Consigliano di usare la tachipirina per tirare giù la febbre. Ma anche questo è un palliativo. E, quando la saturazione del sangue inizia a destare preoccupazione, non possono che passare il caso agli ospedali che, un paio di settimane dopo lo scoppio dell'epidemia, sono già al collasso. Nei documenti girati via mail dall'Ats ci sono le informazioni base sulle procedure da adottare. La mail dell'Ats Bergamo è datata 4 marzo. A Roma si sta ancora discutendo se chiudere la Val Seriana oppure no: il Pirellone fa pressione per istituire un'altra "zona rossa", ma Palazzo Chigi è di parere contrario. Il premier Giuseppe Conte non presta attenzione nemmeno ai suggerimenti dell'Istituto superiore di sanità e del Comitato tecnico scientifico. Sul territorio si cerca di frenare il cointagio, come meglio si può. Per i medici di base, come anche per i dottori che lavorano negli ospedali, viene stilata una lunga lista di indicazioni da seguire per far fronte all'emergenza. Tra gli allegati della mail ci sono direttive operative sulle cure primarie da adottare, le indicazioni per l’effettuazione dell’isolamento domiciliare e le normative vigenti in quel periodo. Ai medici viene spiegato come ritirare i Dispositivi di protezione individuale (Dpi) "presso i siti che verranno individuati da ciascuna Ats". Materiali che, come diventerà drammaticamente evidente molto presto, scarseggiano in tutta Italia. Poi si invita a "programmare l'accesso ambulatoriale dei pazienti previo contatto telefonico", in modo da evitare la diffusione del contagio, riservando "un orario dedicato e separato per i pazienti che evidenziano una sintomatologia o anamnesi sospetta per patologia da Covid-19". E ancora: niente accompagnatori, piani di lavoro da disinfettare e controllo degli assistiti posti in isolamento domiciliare.

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È forse questo il documento più importante. Come noto, infatti, solo il tracciamento dei pazienti infetti e dei loro contatti permette il rallentamento della corsa del virus. Quando l'Ats individua e dispone l'isolamento per un paziente, poi tocca al medico di base verificare "che l’assistito aggiorni riguardo alle proprie condizioni di salute, segnalando eventuali significative modificazioni", spiegare ai malcapitati "le misure da adottare durante la qurantena", "curare l'attivazione del sistema di emergenza" e "assicurare la gestione della certificazione di astensione dall'attività lavorativa". Le direttive raccontano che, per quanto non vengano realizzati tamponi agli asintomatici, chi ha avuto un contatto stretto con un caso risultato positivo deve comunque essere messo in quarantena. Anche se non ha fatto il test o se risulta paucisintomatico ma negativo. Per certificare i quattordici giorni di quarantena, fiduciaria o obbligatoria, viene consegnata una "comunicazione di avvio di isolamento domiciliare". È questo l’atto con cui l'Ats "bolla" un residente come caso da seguire "a seguito di inchiesta epidemiologica" (guarda la foto). Un foglio A4, nome, cognome, data di nascita, indirizzo e numero di telefono. Poi l’indicazione del motivo dell'isolamento: "contatto stretto di caso Covid-19", "persona clinicamente guarita da Covid-19 (test ancora positivo)", "caso positivo a test per Covid-19 ma asintomatico". Data e luogo, firma. E via ai quattordici giorni di isolamento.

La storia della pandemia in Italia mostra numerose falle nel sistema. Soprattutto a marzo, quando il picco è stato devastante, il sistema non ha retto l'eccezionalità dell'emergenza. Di errori, sicuramente, ne sono stati fatti. Il pasticcio di Conte sulla zona rossa in Val Seriana e in altre zone della Lombardia, come nel Bresciano e a Cremona, è sicuramente un esempio. Un altro può essere la sfilza di decreti contraddittori e caotici emessi dal ministero della Salute guidato da Roberto Speranza che hanno contribuito a generare dubbi e criticità nell'accettazione dei malati e nella scrematura dei tamponi.

Agli errori burocratici, poi, si è aggiunta la difficoltà di gestire il territorio e armarlo contro un morbo sconosciuto.

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