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Gli eterni guelfi e ghibellini

C'è un dato che colpisce nel primo giorno del governo Meloni e dimostra ancora una volta come in Italia non si riesca a fare sistema, a spingere anche nei momenti difficili le diverse forze politiche a remare nella stessa direzione.

Gli eterni guelfi e ghibellini

C'è un dato che colpisce nel primo giorno del governo Meloni e dimostra ancora una volta come in Italia non si riesca a fare sistema, a spingere anche nei momenti difficili le diverse forze politiche a remare nella stessa direzione, quella dell'interesse generale. Dal mondo sono arrivate reazioni calorose (Orbán e Le Pen) o tiepide (von der Leyen), ma al di là dei toni tutti gli interlocutori internazionali, proprio tutti, hanno dato una chance al nuovo governo, non hanno chiuso la porta a priori ma, anzi, sono disposti a metterlo alla prova. In Italia, invece, sotto una montagna di pregiudizi la bocciatura è stata immediata. Senza appello. Letta ha rimarcato tre volte la parola «opposizione». Non parliamo dei 5s di Conte. Solo il Terzo Polo ha usato espressioni civili.

È inutile arrovellarsi, il nostro è il Paese dei Guelfi e Ghibellini, che si ripropongono sempre sotto mentite spoglie. La retorica del dialogo, del confronto, dura lo spazio di un mattino. Poi si boccia ogni esperienza di governo che non appartenga al proprio campo quando ancora non ha fatto il primo passo. E dietro ai partiti o davanti, si muovono ovviamente i giornali schierati. I buoni propositi servono solo per i discorsi nelle aule parlamentari, come rituali, poi una sorta di automatismo, di richiamo della foresta, li spazza via. Ogni governo è solo, ma forse il governo del centrodestra lo è più di altri. Tutti mettono le mani avanti: i magistrati, i sindacati, gli ambientalisti, per non parlare delle cosiddette minoranze, dei movimenti studenteschi di sinistra, degli intellettuali, delle femministe. Per loro il centrodestra è accettabile se non fa il centrodestra, cioè se non fa le riforme che corrispondono al suo profilo programmatico e culturale. Dal fisco alla giustizia, dalla sburocratizzazione all'immigrazione, a politiche energetiche pragmatiche. Addirittura, il sindacato della scuola è insorto perché la nuova denominazione del ministero aggiunge all'«istruzione» il concetto del «merito». Un'idea di buonsenso sbeffeggiata con ironia ideologica.

Il problema riguarda, appunto, il sistema Italia. Se c'è un virtuosismo nel bipolarismo, è nella sua capacità di interpretare le congiunture che si susseguono secondo la domanda del Paese. Perché ci sono fasi da governare con riforme nelle corde di conservatori e moderati, e altre che sono più congeniali al centrosinistra progressista. In questa alternanza si trova l'equilibrio. Purtroppo in Italia, per i motivi che tutti conosciamo, negli ultimi dieci anni, dall'ultimo governo Berlusconi, proprio le categorie che adesso insorgono hanno impedito che i moderati dessero il loro contributo. Così il Paese è rimasto indietro. Ora la grande sfida del governo Meloni è recuperare questo ritardo, dando delle risposte alla crisi con riforme che abbiano l'impianto programmatico e culturale del centrodestra a cui anche i progressisti - se vorranno - potranno dare il loro contributo, senza però privarle dell'elemento della «discontinuità».

Perché l'unica cosa che non può permettere, e permettersi, il centrodestra è che questo Paese rimanga fermo.

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