Un fallimento che fa paura

Macron ha illuso l'Europa con l'immagine di uno statista moderno, capace di riformare, guidare e proteggere. La verità è che ha governato con presunzione, senza ascolto né visione strategica

Un fallimento che fa paura
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C'è una tempesta che incombe sull'Europa. Una crisi che non nasce nella periferia ma in Francia, seconda economia dell'Eurozona, motore storico dell'integrazione europea. Un Paese oggi vicino al default politico e con conti pubblici in condizioni mai così precarie. La verità che oggi tocchiamo con mano senza tema di essere smentiti, è che Emmanuel Macron ha fallito. Politicamente, economicamente e strategicamente. Ha imposto riforme senza costruire consenso, ha alzato le tasse senza razionalizzare la spesa, ha centralizzato tutto e ascoltato nessuno. Altro che "novello De Gaulle". Lunedì 8 settembre il governo del centrista François Bayrou, da lui nominato, affronterà un voto di fiducia che rischia di trasformarsi in un naufragio. In caso di caduta, la Francia entrerebbe in una spirale istituzionale ed economica dalla quale non sarà facile uscire. E se la Francia trema, l'intera Europa trema.

I numeri sono allarmanti: debito pubblico oltre 3.300 miliardi, pari al 114% del Pil, deficit al 5,8%, crescita stagnante ferma allo 0,6%, disoccupazione giovanile sopra il 18%. La Francia somiglia a un'Italia di quindici anni fa, persino il differenziale di rendimento dei titoli di Stato si è azzerato, sicché gli Oat francesi ora rendono il 3,5% come i Btp italiani. Con un distinguo: in questi anni gli anticorpi hanno radicato nei nostri conti pubblici e oggi le agenzie di rating citano l'Italia quale esempio di inversione virtuosa.

I mercati se ne sono accorti, tanto che ieri le grandi banche francesi (Bnp Paribas, Crédit Agricole, Société Générale) hanno avuto bisogno di sostegni per evitare crolli pesantissimi. Su Parigi la sfiducia è ormai sistemica.

Il piano di austerità del premier Bayrou 44 miliardi di tagli in due anni, tra cui la soppressione di due festività, la riduzione delle prestazioni sociali e tagli alla Sanità è già stato affondato politicamente. Senza una maggioranza credibile, nessuna misura potrà essere attuata. Al punto che ieri il ministro dell'Economia, Éric Lombard, non ha esitato a evocare pubblicamente, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, il possibile intervento del Fondo monetario internazionale. Una eventualità - ritrattata in serata dopo pressioni dell'Eliseo - inaccettabile per un membro del G7, ma che se dovesse verificarsi segnerebbe la fine dell'autonomia finanziaria francese. Il Fmi, del resto, ha già avvertito: la Francia deve ridurre il deficit sotto il 3% entro il 2027. Secondo l'ex capo economista Olivier Blanchard, serviranno almeno 150 miliardi di aggiustamento fiscale, tra tagli alla spesa pubblica e revisione dei sussidi. Una manovra monstre in un Paese già in rivolta sociale da molto tempo.

E l'Italia? Sbaglia chi pensa che questo disastro resti confinato oltre le Alpi. Un collasso francese avrebbe effetti devastanti sui titoli italiani e sull'intera credibilità dell'Eurozona. Più che con l'ombrello della Bce, oggi Roma dovrebbe armarsi con una strategia di coesione e rigore condiviso, non rifugiarsi nel "tanto peggio, tanto meglio".

Macron ha illuso l'Europa con l'immagine di uno statista moderno, capace di riformare, guidare e proteggere. La verità è che ha governato con presunzione, senza ascolto né visione strategica. Ha alimentato la polarizzazione sociale e lasciato campo libero ai due estremi: Mélenchon da una parte, Le Pen dall'altra. Due visioni opposte ma accomunate dal disprezzo per Bruxelles, dall'ostilità all'austerità e dal fascino per il protezionismo. Sicuramente entrambi lo ringraziano.

Il paradosso è che mentre Parigi brucia, Bruxelles tace. Nessuno da quelle parti ha il coraggio di dire che il "modello Macron" è fallito, che la sua leadership ha indebolito l'Europa, non rafforzata.

E che se non si interviene ora con una nuova linea comune seria, rigorosa, politica il contagio sarà inevitabile. Dunque, serve una risposta europea. Ma serve soprattutto che l'Italia apra gli occhi. Perché entro breve, a pagare le illusioni francesi, potremmo essere noi.

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