Coronavirus

Il farmaco che blocca il Covid: "Così svuota le terapie intensive"

L'Università di Padova studia un potenziale farmaco anti-Covid che riuscirebbe a bloccare un enzima che favorisce la replicazione del virus e le trombosi. "Blocca entrambi i meccanismi ed evita gli effetti gravi della malattia"

Il farmaco che blocca il Covid: "Così svuota le terapie intensive"

Mentre si procede spediti con le vaccinazioni, ricerca e Scienza lavorano "sotto traccia" per mettere a punto un farmaco anti-Covid che possa evitare lo sviluppo della malattia grave: da questo punto di vista, ottime notizie potrebbero presto arrivare proprio dall'Italia.

Lo studio italiano

Lo studio, approvato dal Comitato Tecnico Scientifico (Cts) dell’Istituto Superiore di Sanità, dal Comitato Etico Nazionale dell’Ospedale Spallanzani di Roma e dall’Aifa, sarà condotto in collaborazione con le Unità Covid-19 dell’Azienda Ospedaliera - Universitaria di Padova. Lo studio clinico controllato è disegnato e coordinato dal prof. Gian Paolo Rossi, Direttore della Unità Operativa di Medicina d’Urgenza e della Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza, e dalla prof.ssa Teresa Seccia ed impiegherà il nafamostat mesilato, un farmaco utilizzato da anni in Giappone come farmaco generico anticoagulante che ha mostrato un ottimo profilo di sicurezza in tutti gli studi finora condotti. "Se le attese saranno confermate il farmaco potrà tenere molti pazienti Covid-19 fuori dalle terapie intensive e salvare molte vite - afferma la prof.ssa Seccia ad Insalutenewse potrebbe risultare efficace anche contro le diverse varianti del Covid-19, ma questo lo definiremo meglio nel corso del nostro studio”.

Come agisce il farmaco

Ma cos’è questo nafamostat mesilato? “Ci troviamo di fronte ad un altro caso di farmaco che potenzialmente potrebbe essere utile: di fatto, si tratta di una piccola molecola conosciuta per la sua attività di tipo anticoagulante ed antitrombotica. Partendo da questo presupposto, i soliti studi di modellazione molecolare che sono stati eseguiti intensamente nei mesi scorsi durante il pieno della pandemia, hanno dimostrato che questa azione anticoagulante avviene tramite l’inibizione di alcuni enzimi della famiglia delle serina chinasi (famiglia di enzimi, ndr) ed uno di questi in particolare, TMPRSS2, non solo ha un effetto pro-trombotico ma ha anche un effetto a favore della replicazione del virus, presenta queste due caratteristiche insieme", ha spiegato in esclusiva al nostro giornale Renato Bernardini, Professore ordinario di farmacologia all'Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità, che ci ha spiegato come il nafamostat inibisca potentemente questo enzima evitando sia le trombosi che la replicazione virale, dovuta alla ben nota proteina Spike.

La pericolosità dell'enzima

In pratica, l'enzima TMPRSS2 è pericoloso per la salute perché "favorisce la penetrazione del virus nella cellula e ne amplifica la capacità di riproduzione", aggiunge il Prof. Bernardini. Il vantaggio, oltre alla scoperta dei benefici che si possono ottenere contro la malattia da Sars-Cov-2, è che il farmaco si trova già in uso in commercio, motivo per il quale si "conosce bene la sicurezza, i parametri sono già ben conosciuti ed associa bene i due meccanismi inibendo, da un lato la replicazione virale, e dall’altro antagonizzando gli effetti gravi della malattia virale che sono quelli trombotici che intervengono in fasi più avanzate della malattia”.

Quando e come andrebbe utilizzato

Ma in quali casi potrebbe essere utilizzato il nafamostat mesilato? “Se suddividiamo la fase della malattia in lieve o con pochi sintomi, fase intermedia dove interviene l’interessamento polmonare con tosse e polmonite e fase severa dove la malattia ha esiti tromboembolici polmonari (e non solo) - ci dice il farmacologo - la sua evoluzione alla fase intermedia (o moderata) è il momento in cui si potrebbe utilizzare il nafamostat per tentare di scongiurare una situazione di trombosi ed embolia grave dei polmoni e di altri organi". Gli studi clinici, che saranno condotti su 256 pazienti affetti da Sars-Cov-2 ed ospedalizzati ma non così gravi da essere ricoverati in terapia intensiva, dovranno ancora confermare il potenziale antivirale del farmaco che sarebbe un traguardo importante perché "la diminuita replicazione virale si potrebbe correlare ad una diminuita gravità del quadro clinico". La somministrazione avverebbe per via endovenosa: "se consideriamo, poi, che è indicato nelle fasi moderate/severe della malattia, va somministrato esclusivamente in ospedale”, afferma il Prof. Bernardini.

Come detto all'inizio, lo studio è stato approvato dall’Iss e dallo Spallanzani perché questo farmaco è già usato in clinica come anticoagulante. "L’aspetto antivirale, invece, non era conosciuto e va studiato in clinica: per questa ragione è stata richiesta autorizzazione all’Aifa che ha approvato il disegno dello studio, lo ha inviato al comitato etico dello Spallanzani che a sua volta lo ha approvato e il farmaco viene oggi studiato all’Università di Padova nell’Unità del Prof. Gian Paolo Rossi". Attenzione, però, perchè lo studio italiano fa parte di uno dei 48 trials clinici attualmente in corso in tutto il mondo per il nafamostat mesilato nel Covid, "quello italiano è uno dei 48”, aggiunge il farmacologo. Si può facilmente dedurre che, visto l'alto numero di trials esclusivamente per questo farmaco, le potenzialità di successo nella cura al Covid potrebbero crescere enormemente (per fortuna).

A che punto è la ricerca

Ma quali sono le novità, se ci sono, per altri potenziali farmaci anti-Covid? “Sono certo che continueremo, a lungo, di sentire parlare di nuove potenzialità terapeutiche ma, allo stato attuale, non mi sento di dire che sia stato scoperto il farmaco risolutivo. Siamo di certo buon punto, abbiamo imparato molto dalla malattia ma anche dai fallimenti e dai successi terapeutici - ci dice Bernardini - Adesso abbiamo un’aumentata capacità di collocare i farmaci rispetto all’inizio della pandemia, quando si conosceva molto poco e si andava per tentativi". È notizia freschissima che un farmaco sperimentale a base di anticorpi potrebbe neutralizzare e combattere le varianti del Covid secondo quanto emerso dagli studi dell'azienda farmaceutica statunitense Eli Lilly (la stessa degli anticorpi monoclonali) e della canadese AbCellera Biologics, che riveleranno i risultati della sperimentazione la prossima settimana. Secondo le prime anticipazioni, gli anticorpi agirebbero aggredendo il virus e le sue mutazioni, il che significa che il farmaco potrebbe mantenere la sua efficacia nel tempo e nei confronti delle varianti del Covid. Il premier britannico Boris Johnson, ha suggerito che i trattamenti antivirali potrebbero essere forniti alle persone per la cura domiciliare, e potrebbero esser considerati come una "ulteriore linea di difesa medica" contro il Coronavirus.

Quali farmaci usare in casa

In attesa del farmaco ad hoc, però, la raccomandazione che il farmacologo catanese è solito fare riguarda la cosiddetta "Cura Remuzzi", ideata dal professore Giuseppe Remuzzi, Direttore dell'Istituto per le Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano e dal Prof. Fredy Suter per le terapie domiciliari nelle forme lievi. "Tale terapia è di una semplicità disarmante, ma ha anche un razionale scientifico molto solido. In presenza di tampone positivo, è bene assumere un paio di compresse di nimesulide, o aspirina o ibuprofene o un coxib al giorno per una decina di giorni: su 90 pazienti trattati con questa semplice terapia soltanto due hanno subito ospedalizzazione rispetto a quelli non trattati, dove su 90 circa una ventina è finita in ospedale. È una cura semplice, alla portata di tutte le tasche, non è particolarmente tossica ed è fatta da farmaci ben conosciuti. In più, è efficace nel prevenire il passaggio dalla fase lieve o asintomatica alla fase moderata del Covid-19 perché inibisce sul nascere l’infiammazione, causa di molti guai in questa malattia”, conclude Bernardini.

Ovviamente, ed il farmacologo siciliano lo sottolinea sempre, è fondamentale chiedere comunque il parere del proprio medico di base evitando le cure fai-da-te.

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