Si scarica l’app, si partecipa a un quiz e chi sbaglia paga la penitenza bevendo uno “shottino alcolico”. È questo un gioco molto in voga, che intrattiene gruppi di amici a trascorrere qualche momento goliardico. Ma ancora una volta una serata di svago e leggerezza si è trasformata in tragedia. È quanto successo a Firenze la notte del 22 febbraio scorso, quando dalla finestra di un palazzo sito nel cuore del centro storico Federico Schiraldi è precipitato perdendo la vita. Il 21enne, originario di Vedano al Lambro (Monza), si era trasferito nel capoluogo toscano per studiare al Polimoda. Le ultime ore della sua vita le ha trascorse in quella casa assieme ad altri sei ragazzi, in un festino finito oltre ogni aspettativa. Al centro della tragedia ci sarebbe proprio il “gioco dell’alcol”. Non si sa cosa sia accaduto, tuttavia i carabinieri hanno trovato una certa quantità di bottiglie di alcol vuote. Nella notte Federico, raggiungendo la finestra, è precipitato dal quarto piano morendo sul colpo. Cosa può essere successo? Cosa rappresenta questo gioco per le comitive? Ne abbiamo parlato con la psicoterapeuta e presidente dell'Osservatorio nazionale adolescenti Maura Manca.
Perché c’è attrazione e curiosità verso questo tipo di gioco?
"L’attrazione verso tutto ciò che va oltre un certo limite e che provoca stati di alterazione suscita da sempre la curiosità dei ragazzi. Loro in alcuni casi cercano una condizione di alienazione intesa come una ‘condizione altra’ rispetto alla vita che vivono. Per cui, in quel momento di condivisione alcolica, accade che riescono a trovare proprio quella condizione perché si divertono, dicono e fanno sciocchezze legate al tipo di gioco. In questo modo i ragazzi creano un momento che appartiene solo al gruppo che si è creato e che ricorderanno come un piacevole evento. Questo è fondamentalmente il senso dei giochi alcolici. Il problema sorge quando si avverte il bisogno di giocare per divertirsi: quel momento si trasforma in occasione, per come dicono loro, di ‘sfasciarsi’. È proprio lì che non si può parlare più di gioco e divertimento ma di una condizione problematica. Se c’è bisogno di alterare il proprio stato di coscienza per divertirsi, il rischio di farsi male cresce esponenzialmente".
Una volta entrati nella dinamica del gioco, fino a che punto è gestibile la possibilità di fermarsi in tempo?
"Il problema è che noi chiamiamo gioco questo tipo di attività e, di conseguenza, il nostro cervello automaticamente la percepisce come meno a rischio e meno dannosa. Usiamo impropriamente questo termine per deresponsabilizzarci, per non ammettere a noi stessi che stiamo ponendo in essere una condotta che può anche essere deviante. Non porsi dei limiti non è un gioco, ma fonte di possibili problemi. Nel momento in cui si va oltre, non si pongono più freni, non si tratta più di un gioco perché ci si immette in una condizione di rischio. Queste dinamiche non riguardano solo gli adolescenti ma anche i giovani adulti della fascia tra i 20-30 anni. Molte comitive organizzano serate a base di alcol in modo abituale, lo fanno per sentirsi liberi perché pensano che solo raggiungendo un certo grado di disinibizione riusciranno a divertirsi. Invece si mettono in una situazione di alto rischio. Le persone che si fanno male durante queste serate sono tante, proprio perché superano i limiti e alterano lo stato di coscienza. Un conto è l’occasione, un altro conto è l’abitudine a quel gioco che diventa il solo modo per divertirsi".
Perché un momento di leggerezza come questo si è trasformato in tragedia per Federico Schiraldi? Perché possono accadere eventi drammatici anche in un momento di svago?
"Nel caso di Firenze occorre che emergano ancora dei risultati specifici dalle indagini, affinché si possa accertare la correlazione diretta fra i due eventi. Sicuramente sappiamo che c’era un gruppo di amici che si stava divertendo anche con l’uso di alcol, ma in questi casi occorrono delle indagini approfondite, come ad esempio quelle di carattere tossicologico. La possibile presenza di sostanze stupefacenti potrebbe cambiare il quadro generale della situazione. Alle tragedie si arriva perché si supera il limite. Essere tra amici porta a dividere la responsabilità di quello che si fa con i presenti. Per cui, nel momento in cui si è in tanti, è come se ognuno si deresponsabilizzasse di quello che fa andando oltre. Proprio lì subentra la condizione di rischio. Se ci si altera, la percezione dello spazio, del tempo, di se stessi è alterata e, di conseguenza, il rischio di farsi male diventa molto alto, perché la percezione di ciò che sta realmente accadendo e delle conseguenze delle proprie azioni è alterata".
Quali conseguenze psicologiche potrebbero portarsi dietro i ragazzi che hanno preso parte alla festa senza poter impedire il tragico evento?
"Per un ragazzo è una condizione tragica. Nella mia esperienza lavorativa, parlando con le persone che hanno vissuto una situazione simile, in cui un momento ludico si è trasformato in tragedia, è sempre emerso il subentrare di domande assieme ai sensi di colpa del tipo: “potevo fare questo” ,“potevo comportarmi in quel modo”. Nella testa di un ragazzo che gioca e si diverte, non trapela l’idea che possa subentrare la tragedia.
Tanti giovani vivono uno stato di choc e hanno bisogno di un aiuto specialistico per elaborare ciò che hanno vissuto affinché non si trasformi in trauma. L’importante è che imparino dalla tragedia il valore della vita che non può essere messo in gioco".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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