Cronache

Giustizia è fatta

"Giustizia è fatta" era il passa parola che circolava all'interno del quotidiano Lotta Continua, organo della formazione extraparlamentare e rivoluzionaria della sinistra, all'indomani dell'omicidio del commissario Calabresi

Giustizia è fatta

«Giustizia è fatta» era il passa parola che circolava all'interno del quotidiano Lotta Continua, organo della formazione extraparlamentare e rivoluzionaria della sinistra, all'indomani dell'omicidio del commissario Calabresi avvenuto a Milano il 17 maggio 1972. Solo all'ultimo, raccontano i testimoni, quella bestemmia non diventò il titolo principale del giornale che sedici anni dopo si scoprì essere stato il covo dei mandanti e degli autori materiali dell'omicidio grazie al pentimento di un componente del commando, Leonardo Marino.

Per questo Montanelli, sul Giornale di quel 29 luglio 1988, il giorno dopo gli arresti degli ex Lotta Continua (Sofri, Pietrostefani, Bompressi e Marino, diventati tutti nel frattempo insospettabili borghesi), titolò: «Giustizia per il commissario Calabresi».

Non sapeva Montanelli che per chiudere definitivamente il cerchio della giustizia sarebbero dovuti passare altri 33 anni. Già, perché uno degli assassini Giorgio Pietrostefani - dopo la condanna definitiva si rifugiò in Francia, dove raggiunse altri terroristi italiani che si erano dichiarati perseguitati politici godendo della protezione del governo francese in base a una discussa legge emanata dal presidente socialista Mitterrand.

Oggi per dieci di loro Pietrostefani compreso la latitanza dorata è finita grazie a uno storico accordo tra il governo italiano e quello francese. Per cui oggi possiamo riprendere anche noi quel «Giustizia è fatta» sperando che sia il titolo definitivo. Già qualcuno parla di «inutile vendetta dello Stato», di «un nonsenso dopo così tanto tempo» essendo passati, nel caso di Pietrostefani, quasi cinquant'anni.

Mi limito a ricordare che, senza scandalo alcuno, la giustizia rincorre regolarmente presunti autori di delitti comuni avvenuti trenta e più anni fa, come recentemente è accaduto per il caso di Lidia Macchi, la studentessa uccisa nel Varesotto nel 1987. Ma soprattutto l'indulgenza civile e giuridica può essere applicata a chi, colpevole o innocente che sia, non fugge, a chi si pente. Di certo non agli assassini che per evitare la galera si rifugiano all'estero sostenendo di essere perseguitati politici.

Questo Stato è stato semmai fin troppo clemente con chi di loro si arrese a tempo debito; ci mancava solo che rinunciasse a regolare i conti con gli irriducibili che ancora a distanza di anni irridevano, ben accomodati a Parigi, la nostra giustizia e le loro vittime.

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