Cronache

Una giustizia roulette russa e un suicidio annunciato

Due anni di processo e l'illusione crudele dell'assoluzione. Una beffa, capovolta dal verdetto d'appello scritto con i caratteri della condanna

Una giustizia roulette russa e un suicidio annunciato

Due anni di processo e l'illusione crudele dell'assoluzione. Una beffa, capovolta dal verdetto d'appello scritto con i caratteri della condanna. Un controsenso, a maggior ragione perché il nostro codice afferma che la colpevolezza deve essere dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio e qui il tribunale aveva dubitato, eccome se aveva dubitato. Ma il nostro sistema penale non si perde in simili sottigliezze e riesce nell'impresa di trasformare l'innocenza nel suo contrario, il processo in un pastrocchio, infine - ed è il dato più grave - la giustizia in una lotteria. Una giostra senza tempo da cui puoi scendere con l'onore restituito o col fango fin sopra i capelli.

Solo che non tutti reggono questo susseguirsi di colpi di scena e così l'anno si chiude con il suicidio eccellente di Angelo Burzi, ex assessore e consigliere della Regione Piemonte che la vigilia di Natale si è sparato un colpo.

Burzi era uscito vincitore dal verdetto di primo grado, quindi l'appello aveva buttato nel cestino le sue certezze, poi c'era stata la cassazione e un appello bis; infine, dopo quasi dieci anni di questa altalena, il conteggio si era fermato a quota 3 anni di carcere. Tre anni per gli scontrini e le note spese su cui avrebbe fatto la cresta. Tanti, troppi per chi sperava di vedersi riconsegnare, come fosse solo una valigia smarrita, la propria onestà. Naturalmente, l'iter non era ancora concluso perché già s'intravedeva all'orizzonte un nuovo round in cassazione e poi, chissà, un altro passaggio in appello.

Nel sistema anglosassone, che noi abbiamo malamente copiato, l'appello ha forti limiti, da noi invece si porta via tranquillamente il rigore dei giudici del tribunale, la logica e anche il rispetto per l'imputato che è solo una pallina in balia di meccanismi contorti e farraginosi.

La giustizia italiana veste come Arlecchino: poco Perry Mason, solenni e nobili principi smentiti da una routine logorante e sfiancante che mortifica anche il diritto ad un processo in tempi ragionevoli. Figurarsi. La legge Pecorella aveva vietato l'appello del pm dopo un'assoluzione, proprio come era capitato a Burzi; ma la Corte costituzionale ha detto che no, non si poteva fare, perché accusa e difesa non avrebbero avuto le stesse chance.

Non si mette, come dicono i vangeli, vino nuovo in otri vecchie. La Costituzione non è allineata al codice di procedura, a suo volta zeppo di protesi, aggiunte e cerotti di ogni colore. Così i verdetti rompicapo talvolta sono un peso insostenibile.

E il prologo di tragedie.

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